mercoledì 9 gennaio 2013

Roma cristiana: le catacombe di Commodilla


Le catacombe di Commodilla sono site in Roma, precisamente in via delle Sette Chiese, non molto lontano dalla via Ostiense (vedi MAPPA). Esse sono anche conosciute con il nome dei Ss. Felice e Adautto. Queste due antiche denominazioni, che risultano sia nell’Index coemeteriorum del VI secolo, sia nel Martirologio geronimiano di V secolo, si devono principalmente a due motivazioni: Commodilla era la proprietaria del fundus donato alla comunità cristiana per instaurarvi la catacomba, mentre Felice e Adautto erano i martiri eponimi venerati nella catacomba. Nella Depositio martyrum, della metà del IV secolo, invece, le due diciture scompaiono, per poi ritornare negli Itinerari di VII secolo (il De locis, la Notitia ecclesiarum e il Malmesburiense).



La prima scoperta degli ambienti avvenne sul finire del Cinquecento, per merito del Bosio, che pensò di trovarsi nella catacomba di Lucina. Oggi, grazie alle campagne di fine Ottocento dello Stevenson, per cimitero di Lucina si intende l’area subdiale alla basilica di San Paolo f. l. m. che comprendeva il cimitero in cui era stato deposto san Paolo. 
La volta della Basilichetta, che fu riscoperta solo nel Novecento, è di restauro. Luogo di venerazione dei martiri Felice e Adautto dal momento della sua costruzione, l’ambiente assunse la conformazione attuale solo nel VI secolo, a seguito degli interventi promossi da papa Giovanni I (523-526). Prima di allora, lo spazio era delimitato da una galleria con sepolture terragne, mentre il pavimento, ora rialzato, era in origine piano. La prima galleria non andava oltre il confine delle sepolture ed era accessibile dalla metà circa dell’odierno ambiente. Sviluppata parallelamente alla basilica, essa era dotata di un piccolo braccio, delimitando l’antico ingresso dell’ambiente.
A Commodilla non vi è nulla che rimandi a un’epoca precostantiniana. Come in Priscilla, dove si riscontrano larghe gallerie dotate di volte abbassate e dalla sezione a ferro di cavallo, la catacomba era originariamente una cava di arenario. L’ambiente era inizialmente adibito a un uso sepolcrale privato e fungeva pertanto da vero e proprio Ipogeo, che, sfruttando le antiche gallerie di pozzolana, fu in seguito predisposto alla venerazione dei Ss. Felice e Adautto, probabilmente per volontà della stessa Commodilla. Nella prima metà del IV secolo, la situazione rimase pressoché invariata, giacché, a differenza di altri cimiteri coevi, non vi fu un’esplosione di sepolture. L’Ipogeo privato passò alla comunità cristiana con papa Damaso (366-384). A questo proposito, da un frammento di epigrafe ritrovato in situ - il cui testo è tradito da una silloge medievale – si evince come Damaso abbia dato nuovo risalto alle tombe dei due martiri. Il testo ricorda che egli ristrutturò una singola tomba. È probabile, dunque, che i due martiri, periti fra le persecuzioni di Valeriano e di Diocleziano, fossero stati sepolti nella parete di fondo dell’attuale basilichetta, verosimilmente sulla sinistra venendo dallo scalone di accesso, dove sono stati ritrovati due loculi sovrapposti, uno aperto e l’altro chiuso. Le Passiones, alle quali si fa riferimento per la ricostruzione del loro martirio, sono documenti tardi e pertanto meno attendibili dei carmi e delle testimonianze epigrafiche fatte apporre in catacomba nella seconda metà del IV secolo dai papi Damaso e Siricio (384-99). A Damaso si deve la prima sistemazione consistente delle pareti, originariamente decorate ad affresco, che prevedeva, al posto dell’attuale calotta absidale, una parete piana con un’epigrafe e probabilmente una transenna. La sistemazione è analoga a quella che il noto pontefice aveva prospettato in molti cimiteri di Roma. Resti di pittura di età damasiana mostrano due personaggi acclamanti un cristogramma. Al centro è un contenitore di rotuli (volumina), perfettamente in linea con una serie di decorazioni contemporanee che esaltano la verità, la legge, e la dottrina di Cristo. Dopo Damaso, la scoperta delle tombe dei martiri e la venerazione fomentata dallo stesso papa verso Felice e Adautto fecero in modo che la catacomba prendesse realmente avvio come luogo di culto. Ciò comportò la costruzione di nuclei più consistenti di sepolture. Commodilla divenne così un vero e proprio retro sanctos, un luogo in cui, per la vicinanza ai martiri venerati, i fedeli desideravano essere deposti. A questo scopo, nella seconda metà del IV secolo, nacque la galleria di cui prima si accennava.
La topografia delle catacombe evolse molto fra III e IV secolo. A Commodilla, la galleria, al fine di sfruttare intensivamente lo spazio, non lascia alle famiglie dei defunti la possibilità di personalizzare la tomba del proprio morto, come dimostra il tipo di sepoltura a loculo che la caratterizza. Ritrovata dagli archeologi pressoché intatta e illesa dalle depauperazioni dei corpisantari, questa galleria è utile per stabilire una cronologia attendibile. A partire dalla fase di Giovanni I, per tutto il Medioevo e l’epoca moderna, infatti, essa rimase chiusa e quasi del tutto intatta. In alcuni punti, nella malta di fissaggio dei loculi furono apposti dei piccoli oggetti: dei vetri o dei materiali luminescenti, destinati non tanto al riconoscimento della tomba, ma più presumibilmente al suo abbellimento. La Regione di Leone, luogo in cui si trova il cubicolo dell’ufficialis annonae che impose il nome alla regionefu scoperta negli anni 50. Il cubicolo di Leone è di natura privata, sebbene faccia parte della catacomba stessa.
Si continuò a seppellire in Commodilla fino ai primi decenni del V secolo; in seguito la catacomba cadde in disuso e si preferì seppellire sub divo. Essa divenne piuttosto un punto di riferimento per i pellegrinaggi. L’intervento promosso da Giovanni I comportò l’allargamento della parete, la creazione di due calotte absidali e una conformazione dell’ambiente che oggi si può intuire come una basilica semipogea. 

Le passiones di V-VI secolo narrano il martirio di Felice e Adautto, due presbiteri fratelli. Felice sarebbe stato martirizzato in prossimità di una cavità sulla quale sorgeva un albero; Adautto è l’appellativo attribuito al fratello di Felice - il cui reale nome è sconosciuto - che deriva dal latino adauctus, aggiunto, al martirio. Secondo le fonti, dopo il supplizio i due corpi furono deposti nella cavità formatasi in seguito allo sprofondamento dell’albero stesso, cavità che dovrebbe corrispondere alla memoria di un luogo semipogeo: la basilichetta creata da Giovanni I. Nell’occasione della sua costruzione si rialzò il presbiterio e si chiuse la "galleria intatta", mentre continuò l’opera di abbellimento dell’ambiente. La sistemazione damasiana fu smantellata. Nel catino di sinistra, l’epigrafe voluta da Damaso fu posta a coprire gli affreschi e il mosaico preesistenti. Quanto all’altra calotta, alcuni studiosi tedeschi provarono a ricostruirne la decorazione, nella quale si scorge a malapena un personaggio in trono, Cristo, mentre tracce di colore indicano l’esistenza di un altro personaggio posto alla sua destra, e di un tronco di palma. Questa decorazione doveva mettere in risalto la ragione del martirio. In occasione dei lavori di Giovanni I venne edificato uno scalone monumentale (quello che si percorre per accedere alla basilichetta), verosimilmente un passaggio creato ad hoc per meglio convogliare le masse di pellegrini.
Nel VI secolo la basilica era l’unico ambiente frequentato nella catacomba e lo scalone doveva consentirne un accesso agevole. In origine l’ingresso era posto sopra la calotta. Dalla prima galleria, una scala parallela molto ripida dava accesso a un altro passaggio laterale scavato nella pozzolana. La frequentazione dell’ambiente si intensificò nel corso del VII secolo. Numerosi pellegrini vi affluirono da tutta Europa, come dimostrano alcuni graffiti devozionali in alfabeto latino e runico rintracciati sulla parete di fondo, collocabili fra il VII e il IX secolo. La venerazione del sepolcro dei due martiri continuò fino all’epoca di Leone IV, quando le loro reliquie furono trasferite altrove. In seguito, il luogo, nato in virtù dei martiri, decadde fino a quando il Bosio, sul finire del Cinquecento, ne rintracciò gli ambienti.


L’affresco di Turtura

L’iscrizione dipinta sotto l’affresco ne inquadra il soggetto. Il suo cattivo stato di conservazione è dovuto a un tentativo di distacco per mano dei tombaroli. Nonostante, durante il restauro, i frammenti dell’affresco di Turtura fossero stati pazientemente ricomposti, il suo stile ne risultò pesantemente alterato, come dimostrano alcune foto precedenti all’intervento e le fotografie acquerellate del Wilpert. Questi ultimi, in particolare, mostrano come prima i personaggi fossero resi con maggiore delicatezza e come l’attuale fattura del volto di Turtura non renda giustizia alla vedova. La Vergine è seduta su un trono gemmato e ha in braccio il Bambino. Ai lati figurano Felice e Adautto, che introducono la defunta Turtura. Per questa pittura si pone un notevole problema di cronologia, giacché la critica tedesca – autore del corpus su Commodilla – spinge per una datazione al VII secolo, mentre oggi una sua collocazione entro la metà del VI secolo appare più convincente in ragione di un’epigrafe pavimentale ritrovata in situ. L’iscrizione pavimentale è datata al 527-28 e ricorda la bontà e la castità di Turtura che, dopo la morte del marito, si era esclusivamente dedicata alla cura dei figli. La dicitura dell’epigrafe viene associata alla narrazione fatta all’interno dell’epigrafe affrescata. Dal punto di vista dello stile, questi affreschi sono molto distanti dalla maggior parte delle testimonianze pittoriche di VI secolo. Frontalità e inconsistenza dei volumi determinano un procedimento di iconizzazione, per certi aspetti lontano dalla tradizione naturalistica romana. Si tratta di una pittura poco nota a Roma, i cui canoni sono così ripetitivi da essere iconograficamente poco inquadrabili e, allo stesso tempo, distanti dalle limitrofe pitture del cubicolo di Leone, sempre in Commodilla. La fissità dei personaggi introduce in una dimensione avulsa da quella umana, contermine, per linguaggio, ai mosaici di Ravenna.

L’affresco con san Luca
Pur appartenendo a una fase pittorica differente, l’affresco si lega da un punto di vista stilistico a quello di Turtura. È probabile che il committente abbia scelto di riprodurre l’immagine di san Luca per una contiguità topografica con la basilica di San Paolo f. l. m., dove era attestato il culto del santo discepolo di Paolo. Egli è rappresentato con una borsa e con gli strumenti del medico, sua professione. Caratteristiche stilistiche di VI secolo, come la frontalità, il grande nimbo coronato da due cornici - una chiara e l’altra scura - i curati tratti del volto, conducono a una datazione dell’affresco al tempo di Costantino Pogonato (VII secolo).

L’affresco con la Traditio Clavium
Il Cristo sul globo è imberbe, porta i capelli lunghi e ha un volto dai connotati fisiognomici diffusi a decorrere dal V secolo in poi, soprattutto a Ravenna. Ai suoi lati sono Pietro e Paolo. Si tratta di una scena di Traditio clavium. L’affresco è datato al VII secolo. I moduli espressivi paleocristiani subiscono variazioni ma rimangono qui ancora evidenti. I nimbi presentano cornici concentriche e l’abito di Cristo ha una connotazione violacea tipicamente apocalittica. Il Codice nelle mani del Cristo è chiuso e gemmato, e richiama l’Apocalisse. Pietro e Paolo presentano dei rotuli. Intorno al nucleo centrale, compaiono i santi Felice e Adaùtto, Stefano e Merita o Emerita, entrambi oranti. Le fonti ricordano una santa Merita seppellita presso i martiri Felice e Adautto, sebbene gli scavi non abbiano poi confermato questa informazione. La presenza di santo Stefano si deve alla vicinanza topografica con la basilica di San Paolo, dove esisteva un oratorio a lui dedicato. È probabile che prima di questa decorazione ne esistesse un’altra, oggi perduta. 

L’affresco con Merita o Emerita orante
Si tratta di un altro affresco di VII secolo, probabilmente realizzato dallo stesso pittore della Traditio clavium, come si evince dal trattamento dei volti e della linea suolo. L’epigrafe segnala il nome del personaggio centrale: è Merita, santa associata alle sepolture dei due martiri eponimi rappresentati ai lati. 

La Regione di Leone


Il Cubicolo di Leone è parte integrante della catacomba, anche se costituisce un nucleo privato. Leone era un Ufficialis annonae, l’ente che si occupava dell’approvvigionamento di viveri per la città. Nel cubicolo si apprezza un’autorappresentazione minima del defunto, mentre la maggior parte della decorazione è affidata a un tema cristiano. La volta con il busto di Cristo e il tema dell’esaltazione di Pietro spiccano sul resto della decorazione. La sua datazione è ascritta all’ultimo trentennio del IV secolo (370-385). L’ingresso del cubicolo presenta una decorazione con l’Agnello centrale e 12 colombe laterali, una zoomorfizzazione di Cristo fra gli apostoli. Il Busto di Cristo, dal volto apocalittico, attorniato dalle lettere alfa e omega, è inserito in un cassettonato, dove vi fu sovrapposto in un secondo momento. Nel cubicolo predominano temi cristologici. Sul fondo un Cristo giovanile sorregge un codice aperto – a indicare la Rivelazione - ed è circondato dai ss. Felice e Adautto. Sulle pareti laterali un'immagine con due santi poco caratterizzati acclamanti un cristogramma e la capsa di rotuli al centro richiamano la decorazione damasiana; più avanti ancora si nota una zoomorfizzazione del miracolo della moltiplicazione dei pani, con il Cristo agnello. Un altro frammento di pittura mostra l’Agnello centrale – Cristo fra due ovini laterali. Sul lato sinistro della parete di fondo è rappresentata una santa Agnese orante con l’attributo dell’agnello. Sulla destra della parete di fondo, invece, compaiono degli episodi particolari: il Raptus Pauli - il momento in cui Paolo viene portato al terzo cielo - che si sviluppa come una vera e propria visione teofanica, nella quale il Cristo si affaccia da una sorta di balaustra (II Corinzi, 12, 2); e l’episodio, forse tratto dagli atti degli apostoli, dell’eunuco di Camdace convertito, altrimenti interpretato come una scena di ultimo viaggio, tema pagano che ben si attaglierebbe al sepolcro di un funzionario dell’annona. A destra e a sinistra si svolge il tema petrino, con il Miracolo del battesimo di Processo e Martiniano - che riprende lo schema di Mosè che percuote rupe – in cui i Carcerieri sono connotati come militari dai berretti pannonici, e con la scena del Ter negabis, nella quale Pietro rinnega Cristo. Le due scene petrine si riferiscono alla salvezza portata da Cristo e dal nuovo testamento, del quale protagonista è Pietro che, pur peccando, redime se stesso e l’umanità. 

Bibliografia principale:
V. Fiocchi Nicolai, F. Bisconti, D. Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma, Regensburg 1998. 




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