Evidenziate
dai restauri del 1928-30, le testimonianze delle trasformazioni operate in
epoca romanica sulla basilica di Santa Pudenziana a Roma consistono negli
affreschi dell’oratorio, nella struttura interna della chiesa, nel campanile e
nei rilievi del portale. Alle spalle dell’abside si trova l’oratorio mariano,
decorato ad affresco. Sulla parete di fondo la Vergine con il Bambino è
affiancata da santa Pudenziana e da santa Prassede, contraddistinte dalla
corona del martirio; sulla sinistra, nel registro superiore, è la Conversione e
il Battesimo dei figli di Pudente a opera di san Paolo, in quello inferiore il
Battesimo delle sante e l’ordinazione di Novato. Sulla parete opposta è un angelo
che incorona i santi Cecilia, Valeriano e Tiburzio. Lo spazio della volta, diviso in cinque campi
da cornici decorative, accoglie l’Agnus
Dei circondato dai Viventi, accompagnati da iscrizioni. Caratteristiche di
questa decorazione apocalittica sono, da un lato, la rappresentazione del
Tetramorfo sulle quattro vele e, dall’altro, la presenza di iscrizioni
identificative, disposte sotto i singoli simboli degli Evangelisti secondo un
andamento curvilineo che segue la concavità della superficie. Le lettere sono
bianche su fondo verde, mentre la scrittura è in capitale. I testi sono in
versi leonini (san Marco; san Luca) e in esametri (san Giovanni e san Matteo).
L’iscrizione Vox clamantis ais qua Marce
leone notaris in corrispondenza del leone di Marco appare frammentaria. In
prossimità dell’evangelista Giovanni si legge oggi Alta nimis scandit facies aquilina Ioh(ann)is, sebbene sui
disegni di Cassiano del Pozzo sia riportato il verso Arcanis scandit facies aquilina Ioh(ann)is. Anche l’epigrafe dipinta Frons
hominis pandit chr(ist)i com(m)mercia carnis in corrispondenza di Matteo è molto lacunosa; mentre
quella che si riferisce a san Luca, Luca
boantis species (sor)te mutat arantis,
non è più visibile[1].
I tituli dovevano indicare le singole
caratteristiche dei quattro redattori, teorizzate da Girolamo, riprese dal Carmen Paschale di Sedulio, da Gregorio
Magno e da letterati e teologi di epoca carolingia e confluite, alla fine del
XIII secolo, nello Speculum di
Vincenzo di Beauvais. Secondo la lettura di Morey l’iscrizione Arcanis scandit facies aquilina Ioh(ann)is
si presenterebbe, nel significato, contigua ai versi Scribendo penitras caelum tu mente, Johannes del Codex Aureus di Sant’Emmerano.
L’epigrafe esegetica disposta sotto il simbolo di san Marco Vox Clamantis ais qua marce Leone Notaris ben si attaglierebbe al titulus More boat Marcus frendentis voce leonis, sempre tratto e
rielaborato dallo stesso codice e ai versi Marcus ut alta fremit vox per deserta leonis del Carmen Paschale di Sedulio[2].
Oggi
i simboli di Marco, di Matteo e di Giovanni si presentano mutili e in cattivo
stato di conservazione[3]. La loro
ubicazione sulla volta trova confronti nelle antiche raffigurazioni di Santa
Matrona in San Prisco a Santa Maria Capua Vetere e del Mausoleo di Galla
Placidia a Ravenna (prima metà del V secolo), dove gli Animali compaiono
assieme al trono etimatico o, nel caso ravennate, alla croce del Risorto, qui
sostituita dall’Agnus Dei al centro
della composizione[4].
Secondo l’assetto riscontrato a S. Pudenziana, il Tetramorfo compare nella
decorazione della Cappella Arcivescovile di Ravenna (fine V secolo),
segnatamente sulle vele della volta a crociera scandite da quattro angeli
delineati lungo la linea ascensionale delle costolonature. L’immagine
dell’Agnello nel clipeo centrale, connessa con i simboli Evangelici delle
lunette, faceva parte anche del perduto programma decorativo del sacello di San
Giovanni Battista al Laterano (V secolo), che propone un’iconografia attestata,
qualche secolo dopo, anche nell’area presbiteriale di San Vitale e diffusa
soprattutto nell’Oriente Cristiano[5].
La
datazione delle pitture oscilla tra il pontificato di Gregorio VII (1073-1085)
e il primo quarto del XII secolo. L’assenza di notizie sicure non aiuta a
definirne una precisa cronologia che, di conseguenza, è strettamente correlata
alla loro analisi stilistica[6].
MAPPA
[1] Le integrazioni delle
iscrizioni sono state possibili grazie al disegno acquerellato di Eclissi, alla
lettura del Morey (1915) e al contributo di Wilpert (1916): C. R. Morey, Lost mosaics and frescoes of Rome of the
mediaeval period: a publication of drawings contained in the collection of
Cassiano dal Pozzo, now in the Royal Library, Windsor Castle, Princeton
University Press 1915; S. Riccioni, Iscrizioni,
in CROISIER 2006, pp. 199-206. Vedi anche A. Trivellone, Il cosiddetto oratorio mariano della chiesa di S. Pudenziana e i suoi
affreschi: nuove considerazioni, in ROMA E LA RIFORMA GREGORIANA 2007,
pp. 305-330.
[2] Cfr. MOREY 1915, p. 47;
Sedulio, Carmen Paschale, v. I, p.
355: CSEL X, p. 42. Sul finire del XII secolo, concetti di questo tipo
permearono il pensiero di Adamo di San Vittore (1172-1192), cui si deve l’elaborazione
dei seguenti versi: Marcus, leo per
desertum/ Clamans, rugit in apertum / Iter fiat Deo certum / Mundum cor a
crimine./ Sed loannes, ala bina / Caritatis, aquilina / Forma fertur in divina
/ Puriori lumine.
[3] J. Croisier, La decorazione pittorica dell’oratorio
mariano di Santa Pudenziana, in CORPUS IV 2006, pp. 199-206.
[4] UTRO 2000c, pp. 286-287.
[5]
Cfr. PENNESI 2006, pp. 428-432; G.
Bovini, Ravenna. Mosaici e monumenti, Ravenna 2003, pp. 123-129.
[6]
A proposito dello stile, sono stati messi in evidenza alcuni punti di contatto
con i dipinti murali dei sotterranei del Sancta
Sanctorum, con quelli della basilica di Sant’Anastasio a Castel Sant’Elia
(Nepi), della Pieve di Vallerano e della Grotta degli Angeli a Magliano Romano:
PARLATO-ROMANO 2001, pp. 171-178, 322-323; CROISIER 2006, pp. 199-206. A
giudizio di Matthiae, la presenza di alcune precise soluzioni formali rende le
pitture il precedente immediato per gli affreschi della chiesa inferiore di S.
Clemente: MATTHIAE 1966 [1988], pp. 21-24. Per Demus, esse vanno collocate al
primo quarto del XII secolo: O. Demus, Romanische
Wandmalerei, München 1968, pp. 57,121. Gandolfo,
invece, ne ha proposto una datazione alta, ritenendo i dipinti inseriti in una
diversa corrente pittorica, da legare alla cultura dei maestri attivi nella
chiesa sotterranea di San Crisogono. Cfr. F. Gandolfo, Aggiornamento scientifico, in MATTHIAE 1966 [1988], p. 254;
PARLATO-ROMANO 2001, pp. 124-126.
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