giovedì 17 gennaio 2013

ALLA SCOPERTA DELLE CATACOMBE DI PRISCILLA


Le catacombe di Priscilla, site lungo la via Salaria (vedi sito web), si articolano in diversi ambienti:

-        Il Cubicolo della Velata;

-        Il Cubicolo dell’Annunciazione;

-        La zona dell’arenario;

-        Il Cubicolo dei Bottai, dalla pianta quadrangolare e dal piccolo ingresso voltato a botte;

-        La Cappella greca.

Le gallerie sono scavate nel tufo, tenera roccia vulcanica utilizzata per la costruzione di mattoni e calce, e si estendono per circa 13 km. di lunghezza, in vari livelli di profondità.

ORGANIZZAZIONE GRAFICO–GEOMETRICA E TEMI ICONOGRAFICI DEL CUBICOLO DELLA VELATA


L’ambiente prende il nome dalla pittura della lunetta di fondo, raffigurante una giovane donna, con un ricco vestito liturgico e un velo sul capo, con le braccia alzate in atteggiamento di orante. Ai lati della donna orante sono rappresentati due episodi della sua vita. Al centro della volta è dipinto il Buon Pastore nel giardino paradisiaco, tra pavoni e colombe, preceduto, nel sottarco d’ingresso, dalla scena della fuoruscita del profeta Giona dalla bocca del pistrice. Nella lunetta di sinistra del cubicolo è raffigurato il Sacrificio di Isacco e in quella destra i Tre giovani ebrei nella fornace di Babilonia.



Il cubicolo della Velatio deve la sua denominazione al Wilpert che, originariamente ed erroneamente, interpretò la scena di Velatio nuptialis della defunta come una Velatio Virginis, la solenne consacrazione di una Vergine al Cristo. L’organizzazione grafico-geometrica della volta comprende un clipeo centrale all’interno di un clipeo più grande, con delle lunette e dei pennacchi ellissoidali. Vi predominano linee rosso-verdi, le quali costituiscono l’estrema sintesi della pittura pompeiana . Le geometrie concentriche richiamate dalle linee alludono a un sistema cosmico, laddove il cosmo è la sede dell’anima e dell’aldilà. Per completare e ridefinire l’intelaiatura geometrica, gli artisti inventarono dei segmenti simili a tiranti di una tenda, che assieme agli altri costituiscono un casellario semanticamente consapevole. Elementi zoomorfi e fitomorfi popolano lo spazio: uccelli, quaglie, pavoni e figure umane sono reduplicati simmetricamente al fine di creare un simbolismo cosmico. La scelta della simmetria e della specularità delle figure non è casuale. Dal Physiologus, testo antico che riportava le abitudini degli animali, è tratta l’immagine del pavone, il cui carattere dipende dal contrappunto tra la bellezza fisica che da sempre gli si attribuisce e il suono gracchiante della sua voce. Il pavone è l’uccello del paradiso, mentre i volatili in volo alludono al mezzocielo. Ancora, le quaglie sono uccelli terrestri. Nel cubicolo della Velata pertanto si stabilisce una scala cosmica, ove la quaglia cede il passo agli uccelli, posti su di un gradino inferiore rispetto al pavone.

All’interno del clipeo centrale figura un personaggio, la mano aperta nella presentazione di se stesso, vestito con tunica esomide ed exigua, tipica del lavoro, con fasce crurales, che lo identificano come bracciante o pastore: siamo di fronte al cosiddetto “villico”. Egli è circondato da due ovini, da volatili e alberi, sempre reduplicati simmetricamente.  È chiara la volontà del committente di voler affermare un concetto, come l’intento simbolico sotteso a queste immagini, che diventano uno strumento di trasmissione e di comunicazione. Quale che fosse il vero obiettivo del committente, appare piuttosto convincente l’ipotesi che attribuisce al villico l’immagine del buon pastore dell’omonima parabola: il Cristo o ancora prima la personificazione dell’humanitas, dell’uomo buono. Dal punto di vista squisitamente iconografico, il buon pastore è il pastore crioforo, quell’ hermes psicopompo dell’arte greca e romana da poco pensato in chiave cristiana. Il buon pastore ha un attributo salvifico, tale da ricondurlo alla personificazione della Filantropia: egli è motore e attrattore del cosmo, quell'universo che, nel cubicolo della Velata, sovrasta un altro complesso decorativo di altrettanta rilevanza simbolica.
Il ciclo di Giona costituisce uno dei temi più rappresentati a partire dall’età tardo antica. In primo luogo, perché egli è l’unico profeta al quale Cristo paragona se stesso, e in secondo luogo perché il suo ciclo, ricco di aneddoti “ai limiti della fantascienza”, piacque molto ai fedeli ed ebbe enorme fortuna. Poiché prefigurazione veterotestamentaria di Cristo, Giona trova spazio negli ambienti catacombali, nei sarcofagi e negli esempi di arte minore.

L’episodio dei tre giovani ebrei sottoposti al vivicomburium risulta molto diffuso in ambito catacombale come prefigurazione delle numerosi persecuzioni che, soprattutto a partire dalla metà del III secolo, colpirono i cristiani a opera degli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano. I giovinetti indossano il berretto frigio e gli anaxyrides, l’atteggiamento è orante. Essi cantano le lodi al Signore, ringraziano per il miracolo avvenuto, realizzando in questo modo una sorta di prolessi disegnativa, che sintetizza un evento passato e uno cronologicamente successivo in una sola immagine. Nella prima pittura cristiana esiste una certa reticenza nel rappresentare la figura dell’angelo, sostituita in questo caso dalla colomba noetica. L’angelo può apparire aptero o con ali, secondo i contesti in cui è rappresentato. Da un punto di vista esclusivamente stilistico, gli storici dell’arte parlano in questo caso di una pittura di macchia, quasi “impressionista”, determinata dalla giustapposizione di diversi colori.
Quanto al Sacrificio di Isacco, si devono rilevare alcune varianti iconografiche rispetto ai modelli precedenti e coevi: nella sinagoga di Dura Europos, infatti, Isacco è posto sull’altare, mentre in Priscilla Abramo prepara il sacrificio.
La lunetta di fondo è stata completamente restaurata. La defunta, velata, ha gli occhi levati verso l’alto. La tensione orante è suggerita dalle sue braccia, divaricate e rivolte in alto. Ella indossa una veste talare rossa, vuota, inconsistente. Le fattezze del volto rimandano a quei ritratti di età gallienica, pneumatici o spirituali, di divina ispirazione, conservati a Palazzo Massimo (Roma). Nelle catacombe di Priscilla sono raffigurati tre fotogrammi della vita della defunta. Il solenne vestiario, l’atteggiamento, lo sguardo, suggeriscono che ella è già inserita in una dimensione ultraterrena. La donna allarga le Tabule nuptiales (carte matrimoniali); al suo fianco è un anziano cucullato (incappucciatoche si occupa della liturgia del matrimonio. Infine, compare la donna- madre col bambino, dall’acconciatura a helmfrisur (a elmo), altro dettaglio che riconduce alla “pacifica” età gallienica. La defunta, dunque, è individuata nelle sue molteplici caratteristiche di madre, sposa e assunta in cielo. Tale individuazione costituisce il suo curriculum vitae, dal forte retaggio romano/italico desunto dall’iconografia del quotidiano. 

CUBICOLO DELL’ANNUNCIAZIONE


Nel cubicolo è rappresentata una donna seduta in cattedra e un personaggio che compie il gesto della parola (o del commiato, nel caso in cui si tratti di un defunto). In passato, due scuole di pensiero si sono affermate circa l’interpretazione di questa immagine, letta da molti studiosi come l’Annunciazione a Maria. La scuola di Bonn, insieme con quella francese, ritiene si tratti di una scena pagana legata alla vita della defunta, mentre la scuola “romana” di Wilpert, sulla scorta del Bosio, pur sostenendo il carattere cristiano dell’iconografia in questione, esclude si tratti dell’Annunciazione. Tale ipotesi sarebbe suffragata dall’assenza delle ali nel presunto angelo. Tuttavia, recenti studi hanno dimostrato come gli angeli fossero stati rappresentati apteri anche in altri esempi pittorici catacombali (Ss. Marcellino e Pietro; ipogeo di via Dino Compagni). Dopo il restauro, inoltre, Barbara Mazzei è ritornata a sostenere l’ipotesi dell’Annunciazione. Da una foto precedente l’ultimo restauro si evince come la figura femminile non presenti il capo velato, ma abbia un’acconciatura a stuoia, particolarmente diffusa nell’arco temporale compreso fra l’età gallienica e quella tetrarchica.
  
LA NICCHIA CON LA VIRGO LACTANS

Nel soffitto di una nicchia si trova lo stucco, sfortunatamente in gran parte caduto, del Buon Pastore tra arbusti, anche essi in stucco ma che finiscono in una vivace pittura di fronde e rossi frutti. Alla estremità del soffitto compaiono due scene: completamente caduta quella di sinistra, a destra si conserva una figura femminile, con ogni probabilità la Virgo Lactans con il Bambino sulle ginocchia, affiancata da un altro personaggio, verosimilmente un profeta, che con la mano sinistra tiene un rotolo e con la destra addita una stella. Potrebbe trattarsi della profezia di Balaam: “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Num. 24,15-17). La pittura, in base allo stile, è datata al 230-240 d.C..


LA CAPPELLA GRECA


LA SCENA DI BANCHETTO


L’umidità e l’escursione termica causate dall’afflusso dei visitatori hanno fortemente danneggiato gli affreschi, recentemente sottoposti a restauri. Siamo di fronte a un banchetto animato da una gestualità vivacissima, da una liturgia gestuale solenne. Le figure, variamente individuate, sono disposte lungo una tavola sigmoide. Quale tipo di banchetto è rappresentato? Siamo di fronte a un banchetto refrigerativo?  Neotestamentario?  Edonistico?
Tale scena di banchetto ha una valenza particolare sia per la sua ubicazione, poiché si situa nello zenit della cappella, sia per i molteplici significati ad essa attribuibili. Innanzitutto, si deve ricordare che la Cappella Greca si apre sul criptoportico, un’area alla quale si poteva accedere mediante due vie di accesso, e che per lungo tempo è stata considerata parte della villa di famiglia. Recentemente questa ipotesi è divenuta meno convincente, mentre gli studiosi sono portati a ritenere che in origine l’area fosse deputata al contenimento di cisterne idrauliche.  Il criptoportico, inoltre, ospitava alcuni sarcofagi marmorei. In un nicchione di questo ambiente fu aperta la Cappella Greca, la cui denominazione è legata alle iscrizioni in greco che ancora oggi sono visibili.
Ai lati della scena centrale compaiono due ceste di pani, alle quali in genere è attribuito un significato eucaristico. Del resto, il banchetto funebre in onore del defunto è ricordato da numerose fonti pagane e cristiane, da monumenti pagani e dalla letteratura omerica. Essi potevano tenersi subito dopo la morte del defunto e all’aperto, oppure in giorni successivi al decesso. Allo scopo di sottolineare il concetto della continuità della vita dopo la morte, questi banchetti funebri, già presenti nella ritualità romana, potevano essere celebrati al momento della sepoltura (Silicernium) oppure, come si è accennato, nove giorni più tardi la stessa (Novendiale); essi potevano avere cadenza annuale (come i Parentalia), e tra questi un convivio solenne celebrato il 22 febbraio, detto Cara Cognatio, si svolgeva presso il sepolcro con i soli parenti del defunto e rappresentava l’occasione di assicurare la stabilità e l’unità della famiglia. La pratica del pasto funebre si configura dunque come un modo per assicurare le relazioni sociali e per riappacificare le famiglie. Nel cristianesimo, i banchetti diventano Refrigeria (rinfresco), indicando con questo termine il rinfresco tenuto per sollevare l’anima del defunto verso l’aldilà. Nella decorazione, la presenza del pesce e del pane, oltre a suggerirci che questi cibi erano facilmente reperibili grazie al fiorente mercato ittico e annonario di Roma, immediatamente rinvia al mistero eucaristico. A questo proposito, il Wilpert introduceva la possibilità che l’affresco si ispirasse alla liturgia della Fractio Panis. In ragione di quanto detto finora, dunque, non è escluso che il dipinto di Priscilla avesse anche un significato eucaristico.

La Cappella Greca è un “monumento altro” rispetto al resto delle testimonianze coeve. Oltre alle pitture, la sua decorazione comprende rilievi in stucco dipinto, liberamente ispirati ai racemi d’acanto dell’Ara Pacis, di ambientazione dionisiaca e probabilmente di alta committenza. I temi iconografici che popolano le pareti, l’assenza di loculi e la particolare sontuosità della decorazione, non fanno ritenere la Cappella un ambiente esclusivamente funerario. Sembra, piuttosto, che essa fosse un luogo di riunione, forse di catechesi. Sulle pareti della cappella compaiono i seguenti temi iconografici:

-                     I tre giovani fanciulli alla fornace, l’idolo di Nabucodonosor e Daniele;

-                     Mosè intento a battere la rupe;

-                     La personificazione dell’Estate (caratterizzata da papaveri e fiordalisi) inserita entro un clipeo;

-                     Susanna e i vecchioni e Susanna orante;

-                     L’Adorazione dei magi, episodio che fa parte del ciclo cristologico e non del ciclo mariano, giacché quest’ultimo prende avvio dal 431, ovvero a partire dal Concilio di Efeso.

-                     La fenice sul rogo ardente. Secondo Erodoto, la fenice era un uccello mitico,  e il suo mito solare era ambientato a Heliopolis. La Fenice poteva vivere dai 500 ai 1000 anni, trascorsi i quali moriva per autocombustione. Proprio per queste sue particolari caratteristiche, essa divenne simbolo di palingenesi e, in seguito, con l’avvento del cristianesimo, simbolo della resurrezione del Cristo.

-                     La Resurrezione del paralitico.

I numerosi ed eterogenei temi iconografici presenti nella Cappella Greca suggeriscono un ricco alfabetario visivo, nel quale la fenice funge da chiave di volta. Susanna è qui protagonista di due diverse scene: in una scena è insidiata dai vecchioni, nell’altra è orante. Il maestro, meglio ancora il committente, vuole raccontarci una storia utilizzando due fotogrammi; ci racconta che Susanna, in un primo momento venne molestata dai vecchioni e che, successivamente, fu prosciolta da ogni accusa grazie all’intervento divino. L’atto di impositio manuum è a questo proposito eloquente. Esso può significare un atto di accusa, come in questo caso, oppure di purificazione, di catechesi o di guarigione. Del resto, in ambito catacombale ricerca della narrazione molto spesso equivale a perseguimento di finalità didattico-educative. Quanto allo stile delle pitture, nei tre giovani alla fornace e nel più armonico idolo che li sovrasta sono riconoscibili differenti mani.
 Nella calotta di destra figurano delle iscrizioni in greco e l’episodio di Daniele fra i leoni con la città di Babilonia sullo sfondo, particolare inusuale in questo contesto, che lascia ritenere l’esistenza di un modello miniato alle spalle.
Venendo al criptoportico, l’ambiente era decorato con linearità rosso-verdi, sull’esempio dell’ipogeo degli Aureli datato al 230 d.C. ca. Il restauro del 1992 ha messo in evidenza la scala di accesso all’arenario, la quale si collegava alla Madonna di Priscilla. Nei gradoni creati per la costruzione della scala, un sarcofago con scene pastorali, espressione di quel sincretismo religioso ampiamente diffuso in età tardo antica, venne alla luce e fu oggetto di studio. Esso mostra vari pastori variamente atteggiati e inseriti all’interno di un locus amoenus. I pastori svolgono attività ludiche con cani e ovini. Ai lati del sarcofago sono rappresentate delle ceste ricolme di frutta. Il sarcofago era già pronto prima di essere utilizzato, come possono dimostrare un ampio ventaglio di prodotti di età tardo antica, il volto sbozzato, non finito, del defunto e il pallio enfiato, utile per rappresentare sia le donne sia gli uomini. I fori denunciano un forte uso dei trapani: quello a cinghia venne usato anche nella Lastra di Urbino appartenente a Eutropos. Altri elementi sono lavorati con gli scalpelli a punta fina e piatta. In origine, il sarcofago poteva essere policromo. L’occhio levato e l’atteggiamento dei pastori a metà fra il corrucciato e il patetico datano il sarcofago all’età gallienica. 

IL CUBICOLO DEI BOTTAI 


Più tardo rispetto agli altri, il cubicolo si data al pieno IV secolo, più precisamente al 320-330, in piena epoca costantiniana. A dimostrarlo uno stile pittorico semplice e un’architettura che fa intuire i grandi risvolti del IV secolo. Nell’emicalotta è un pavone sul globo e nell’arcosolio di fondo è situata la scena che ha poi denominato il cubicolo, nella quale otto personaggi trasportano una botte. Vestiti con una tunica exigua clavata le figure, dai volti deturpati a causa della loro damnatio memoriae che sarebbe avvenuta nel XVII secolo, sono munite di bastoni. Come dimostra la mancata caratterizzazione dei personaggi ritratti nella scena, il cubicolo apparteneva probabilmente a una corporazione, uno dei tanti collegia funeraticia del tempo. Questo collegio desiderò rappresentare nel proprio sepolcro una scena che rappresentasse il mestiere cui essi erano deputati in vita. Che si tratti di trasportatori di botti (o vinari), di fabbricatori di botti o ancora di distributori di prodotti, poco importa; interessanti, invece, sono i riferimenti "realistici" della pittura. Sui quarti della volta sono rappresentate scene della vita di Giona e di Noè, caratterizzato dalla consueta colomba.


Bibliografia principale:
V. Fiocchi Nicolai, F. Bisconti, D. Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma, Regensburg 1998.


Nessun commento:

Posta un commento