Le catacombe di Priscilla, site lungo la via Salaria (vedi sito web), si
articolano in diversi ambienti:
- Il Cubicolo
della Velata;
- Il Cubicolo
dell’Annunciazione;
- La zona dell’arenario;
- Il Cubicolo
dei Bottai, dalla pianta quadrangolare e dal piccolo ingresso voltato a botte;
- La Cappella
greca.
Le gallerie sono scavate nel tufo, tenera roccia vulcanica utilizzata per la
costruzione di mattoni e calce, e si estendono per circa 13 km . di lunghezza, in vari
livelli di profondità.
ORGANIZZAZIONE GRAFICO–GEOMETRICA E TEMI ICONOGRAFICI DEL
CUBICOLO DELLA VELATA
L’ambiente prende il nome dalla pittura della lunetta di
fondo, raffigurante una giovane donna, con un ricco vestito liturgico e un velo
sul capo, con le braccia alzate in atteggiamento di orante. Ai lati della donna
orante sono rappresentati due episodi della sua vita. Al centro della volta è
dipinto il Buon Pastore nel giardino paradisiaco, tra pavoni e colombe,
preceduto, nel sottarco d’ingresso, dalla scena della fuoruscita del profeta
Giona dalla bocca del pistrice. Nella lunetta di sinistra del cubicolo è
raffigurato il Sacrificio di Isacco e in quella destra i Tre giovani ebrei nella
fornace di Babilonia.
Il cubicolo della Velatio deve la sua denominazione al Wilpert
che, originariamente ed erroneamente, interpretò la scena di Velatio nuptialis della defunta come una
Velatio Virginis, la solenne
consacrazione di una Vergine al Cristo. L’organizzazione grafico-geometrica
della volta comprende un clipeo centrale all’interno di un clipeo più grande,
con delle lunette e dei pennacchi ellissoidali. Vi predominano linee
rosso-verdi, le quali costituiscono l’estrema sintesi della pittura pompeiana .
Le geometrie concentriche richiamate dalle linee alludono a un sistema cosmico,
laddove il cosmo è la sede dell’anima e dell’aldilà. Per completare e
ridefinire l’intelaiatura geometrica, gli artisti inventarono dei segmenti
simili a tiranti di una tenda, che assieme agli altri costituiscono un
casellario semanticamente consapevole. Elementi zoomorfi e fitomorfi popolano
lo spazio: uccelli, quaglie, pavoni e figure umane sono reduplicati
simmetricamente al fine di creare un simbolismo cosmico. La scelta della
simmetria e della specularità delle figure non è casuale. Dal Physiologus, testo antico che riportava
le abitudini degli animali, è tratta l’immagine del pavone, il cui carattere
dipende dal contrappunto tra la bellezza fisica che da sempre gli si
attribuisce e il suono gracchiante della sua voce. Il pavone è l’uccello del paradiso,
mentre i volatili in volo alludono al mezzocielo. Ancora, le quaglie sono
uccelli terrestri. Nel cubicolo della Velata pertanto si stabilisce una scala
cosmica, ove la quaglia cede il passo agli uccelli, posti su di un gradino
inferiore rispetto al pavone.
All’interno del clipeo centrale figura un personaggio, la
mano aperta nella presentazione di se stesso, vestito con tunica esomide ed exigua, tipica del lavoro, con fasce
crurales, che lo identificano come bracciante o pastore: siamo di fronte al
cosiddetto “villico”. Egli è circondato da due ovini, da volatili e
alberi, sempre reduplicati simmetricamente.
È chiara la volontà del committente di voler affermare un concetto, come
l’intento simbolico sotteso a queste immagini, che diventano uno strumento di
trasmissione e di comunicazione. Quale che fosse il vero obiettivo del
committente, appare piuttosto convincente l’ipotesi che attribuisce al villico
l’immagine del buon pastore dell’omonima parabola: il Cristo o ancora prima la
personificazione dell’humanitas,
dell’uomo buono. Dal punto di vista squisitamente iconografico, il buon pastore
è il pastore crioforo, quell’ hermes
psicopompo dell’arte greca e romana da poco pensato in chiave cristiana. Il
buon pastore ha un attributo salvifico, tale da ricondurlo alla
personificazione della Filantropia:
egli è motore e attrattore del cosmo, quell'universo che, nel cubicolo della
Velata, sovrasta un altro complesso decorativo di altrettanta rilevanza
simbolica.
Il ciclo di Giona
costituisce uno dei temi più rappresentati a partire dall’età tardo antica. In
primo luogo, perché egli è l’unico profeta al quale Cristo paragona se stesso,
e in secondo luogo perché il suo ciclo, ricco di aneddoti “ai limiti della
fantascienza”, piacque molto ai fedeli ed ebbe enorme fortuna. Poiché
prefigurazione veterotestamentaria di Cristo, Giona trova spazio negli ambienti
catacombali, nei sarcofagi e negli esempi di arte minore.
L’episodio dei tre giovani ebrei sottoposti al vivicomburium risulta molto diffuso in
ambito catacombale come prefigurazione delle numerosi persecuzioni che, soprattutto a partire dalla metà del III secolo, colpirono i cristiani a opera degli imperatori Decio,
Valeriano e Diocleziano. I giovinetti indossano il berretto frigio e gli anaxyrides, l’atteggiamento è orante.
Essi cantano le lodi al Signore, ringraziano per il miracolo avvenuto,
realizzando in questo modo una sorta di prolessi disegnativa, che sintetizza un
evento passato e uno cronologicamente successivo in una sola immagine. Nella
prima pittura cristiana esiste una certa reticenza nel rappresentare la figura
dell’angelo, sostituita in questo caso dalla colomba noetica. L’angelo può
apparire aptero o con ali, secondo i contesti in cui è rappresentato. Da un
punto di vista esclusivamente stilistico, gli storici dell’arte parlano in
questo caso di una pittura di macchia, quasi “impressionista”, determinata
dalla giustapposizione di diversi colori.
Quanto al Sacrificio
di Isacco, si devono rilevare alcune varianti iconografiche rispetto ai modelli
precedenti e coevi: nella sinagoga di Dura Europos, infatti, Isacco è posto
sull’altare, mentre in Priscilla Abramo prepara il sacrificio.
La lunetta di fondo è stata completamente restaurata. La
defunta, velata, ha gli occhi levati verso l’alto. La tensione orante è
suggerita dalle sue braccia, divaricate e rivolte in alto. Ella indossa una
veste talare rossa, vuota, inconsistente. Le fattezze del volto rimandano a
quei ritratti di età gallienica, pneumatici o spirituali, di divina ispirazione,
conservati a Palazzo Massimo (Roma). Nelle catacombe di Priscilla sono
raffigurati tre fotogrammi della vita della defunta. Il solenne vestiario,
l’atteggiamento, lo sguardo, suggeriscono che ella è già inserita in una
dimensione ultraterrena. La donna allarga le Tabule nuptiales (carte matrimoniali); al suo fianco è un anziano cucullato (incappucciato) che si
occupa della liturgia del matrimonio. Infine, compare la donna- madre col
bambino, dall’acconciatura a helmfrisur (a elmo), altro dettaglio che riconduce alla “pacifica” età
gallienica. La defunta, dunque, è individuata nelle sue molteplici
caratteristiche di madre, sposa e assunta in cielo. Tale individuazione
costituisce il suo curriculum vitae,
dal forte retaggio romano/italico desunto dall’iconografia del quotidiano.
CUBICOLO DELL’ANNUNCIAZIONE
Nel cubicolo è rappresentata una donna seduta in
cattedra e un personaggio che compie il gesto della parola (o del commiato, nel
caso in cui si tratti di un defunto). In passato, due scuole di pensiero si
sono affermate circa l’interpretazione di questa immagine, letta da molti
studiosi come l’Annunciazione a Maria.
La scuola di Bonn, insieme con quella francese, ritiene si tratti di una
scena pagana legata alla vita della defunta, mentre la scuola “romana” di Wilpert,
sulla scorta del Bosio, pur sostenendo il carattere cristiano dell’iconografia
in questione, esclude si tratti dell’Annunciazione.
Tale ipotesi sarebbe suffragata dall’assenza delle ali nel presunto angelo.
Tuttavia, recenti studi hanno dimostrato come gli angeli fossero stati rappresentati apteri anche in altri esempi pittorici
catacombali (Ss. Marcellino e Pietro; ipogeo di via Dino
Compagni). Dopo il restauro, inoltre, Barbara Mazzei
è ritornata a sostenere l’ipotesi dell’Annunciazione.
Da una foto precedente l’ultimo restauro si evince come la figura femminile non
presenti il capo velato, ma abbia un’acconciatura a stuoia, particolarmente
diffusa nell’arco temporale compreso fra l’età gallienica e quella tetrarchica.
Nel soffitto di una nicchia si trova lo stucco,
sfortunatamente in gran parte caduto, del Buon Pastore tra arbusti,
anche essi in stucco ma che finiscono in una vivace pittura di fronde e rossi frutti. Alla estremità del soffitto compaiono due scene:
completamente caduta quella di sinistra, a destra si conserva una figura femminile, con ogni probabilità la Virgo Lactans con il Bambino sulle ginocchia, affiancata da un altro personaggio, verosimilmente un profeta, che con la mano sinistra tiene un rotolo e con la destra addita una stella. Potrebbe trattarsi
della profezia di Balaam: “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da
Israele” (Num. 24,15-17). La pittura, in base allo stile, è datata al 230-240 d.C..
L’umidità e l’escursione termica causate dall’afflusso
dei visitatori hanno fortemente danneggiato gli affreschi, recentemente
sottoposti a restauri.
Siamo di fronte a un banchetto animato da una gestualità vivacissima, da una
liturgia gestuale solenne. Le figure, variamente individuate, sono disposte
lungo una tavola sigmoide. Quale tipo di banchetto è rappresentato? Siamo di
fronte a un banchetto refrigerativo?
Neotestamentario? Edonistico?
Tale scena di banchetto ha una valenza particolare sia
per la sua ubicazione, poiché si situa nello zenit della cappella, sia per i
molteplici significati ad essa attribuibili. Innanzitutto, si deve ricordare
che la Cappella Greca si apre sul criptoportico, un’area alla quale si poteva
accedere mediante due vie di accesso, e che per lungo tempo è stata considerata
parte della villa di famiglia. Recentemente questa ipotesi è divenuta meno
convincente, mentre gli studiosi sono portati a ritenere che in origine l’area
fosse deputata al contenimento di cisterne idrauliche. Il criptoportico, inoltre, ospitava alcuni
sarcofagi marmorei. In un nicchione di questo ambiente fu aperta la Cappella
Greca, la cui denominazione è legata alle iscrizioni in greco che ancora oggi
sono visibili.
Ai lati della scena centrale compaiono due ceste di pani,
alle quali in genere è attribuito un significato eucaristico. Del resto, il
banchetto funebre in onore del defunto è ricordato da numerose fonti pagane e
cristiane, da monumenti pagani e dalla letteratura omerica. Essi potevano
tenersi subito dopo la morte del defunto e all’aperto, oppure in giorni successivi al decesso. Allo scopo di sottolineare il concetto della continuità
della vita dopo la morte, questi banchetti funebri, già presenti nella
ritualità romana, potevano essere celebrati al momento della sepoltura (Silicernium) oppure, come si è
accennato, nove giorni più tardi la stessa (Novendiale);
essi potevano avere cadenza annuale (come i Parentalia),
e tra questi un convivio solenne celebrato il 22 febbraio, detto Cara Cognatio, si svolgeva presso il
sepolcro con i soli parenti del defunto e rappresentava l’occasione di
assicurare la stabilità e l’unità della famiglia. La pratica del pasto funebre
si configura dunque come un modo per assicurare le relazioni sociali e per
riappacificare le famiglie. Nel cristianesimo, i banchetti diventano Refrigeria (rinfresco), indicando con
questo termine il rinfresco tenuto per sollevare l’anima del defunto verso
l’aldilà. Nella decorazione, la presenza del pesce e del pane, oltre a
suggerirci che questi cibi erano facilmente reperibili grazie al fiorente
mercato ittico e annonario di Roma, immediatamente rinvia al mistero
eucaristico. A questo proposito, il Wilpert introduceva la possibilità che
l’affresco si ispirasse alla liturgia della Fractio
Panis. In ragione di quanto detto finora, dunque, non è escluso che il
dipinto di Priscilla avesse anche un significato eucaristico.
La Cappella Greca è un “monumento altro” rispetto al
resto delle testimonianze coeve. Oltre alle pitture, la sua decorazione
comprende rilievi in stucco dipinto, liberamente ispirati ai racemi d’acanto
dell’Ara Pacis, di ambientazione
dionisiaca e probabilmente di alta committenza. I temi iconografici che popolano le pareti, l’assenza di loculi e la
particolare sontuosità della decorazione, non fanno ritenere la Cappella un ambiente
esclusivamente funerario. Sembra, piuttosto, che essa fosse un luogo di
riunione, forse di catechesi. Sulle pareti della cappella compaiono i seguenti
temi iconografici:
-
I tre giovani fanciulli alla
fornace, l’idolo
di Nabucodonosor e Daniele;
-
Mosè intento a battere la rupe;
-
La
personificazione dell’Estate (caratterizzata
da papaveri e fiordalisi) inserita entro un clipeo;
-
Susanna e i vecchioni e Susanna
orante;
-
L’Adorazione dei magi, episodio che fa parte del ciclo
cristologico e non del ciclo mariano, giacché quest’ultimo prende avvio dal
431, ovvero a partire dal Concilio di Efeso.
-
La
fenice sul rogo ardente. Secondo
Erodoto, la fenice era un uccello mitico, e il suo mito solare era ambientato a Heliopolis. La Fenice poteva
vivere dai 500 ai 1000 anni, trascorsi i quali moriva per autocombustione.
Proprio per queste sue particolari caratteristiche, essa divenne simbolo
di palingenesi e, in seguito, con l’avvento del cristianesimo, simbolo della
resurrezione del Cristo.
-
La
Resurrezione del paralitico.
I numerosi ed eterogenei temi iconografici presenti nella
Cappella Greca suggeriscono un ricco alfabetario visivo, nel quale la fenice funge
da chiave di volta. Susanna è qui protagonista di due diverse scene: in una
scena è insidiata dai vecchioni, nell’altra è orante. Il maestro, meglio ancora
il committente, vuole raccontarci una storia utilizzando due fotogrammi; ci
racconta che Susanna, in un primo momento venne molestata dai vecchioni e che,
successivamente, fu prosciolta da ogni accusa grazie all’intervento divino.
L’atto di impositio manuum è a questo
proposito eloquente. Esso può significare un atto di accusa, come in questo
caso, oppure di purificazione, di catechesi o di guarigione. Del resto, in
ambito catacombale ricerca della narrazione molto spesso equivale a perseguimento
di finalità didattico-educative. Quanto allo stile
delle pitture, nei tre giovani alla fornace e nel più armonico idolo che li
sovrasta sono riconoscibili differenti mani.
Nella calotta di
destra figurano delle iscrizioni in greco e l’episodio di Daniele fra i leoni con la città di Babilonia sullo sfondo,
particolare inusuale in questo contesto, che lascia ritenere l’esistenza di un
modello miniato alle spalle.
Venendo al criptoportico, l’ambiente era decorato con
linearità rosso-verdi, sull’esempio dell’ipogeo degli Aureli datato al 230 d.C.
ca. Il restauro del 1992 ha
messo in evidenza la scala di accesso all’arenario, la quale si collegava alla
Madonna di Priscilla. Nei gradoni creati per la costruzione della scala, un
sarcofago con scene pastorali, espressione di quel sincretismo religioso
ampiamente diffuso in età tardo antica, venne alla luce e fu oggetto di studio.
Esso mostra vari pastori variamente atteggiati e inseriti all’interno di un locus amoenus. I pastori svolgono
attività ludiche con cani e ovini. Ai lati del sarcofago sono rappresentate
delle ceste ricolme di frutta. Il sarcofago era già pronto prima di essere
utilizzato, come possono dimostrare un ampio ventaglio di prodotti di età tardo antica, il volto
sbozzato, non finito, del defunto e il pallio enfiato, utile per rappresentare
sia le donne sia gli uomini. I fori denunciano un forte uso
dei trapani: quello a cinghia venne usato anche nella Lastra di Urbino
appartenente a Eutropos. Altri elementi sono lavorati con gli scalpelli a punta
fina e piatta. In origine, il sarcofago poteva essere policromo. L’occhio
levato e l’atteggiamento dei pastori a metà fra il corrucciato e il patetico
datano il sarcofago all’età gallienica.
IL CUBICOLO DEI BOTTAI
Più tardo rispetto agli altri, il
cubicolo si data al pieno IV secolo, più precisamente al 320-330, in piena epoca
costantiniana. A dimostrarlo uno stile pittorico semplice e un’architettura che
fa intuire i grandi risvolti del IV secolo. Nell’emicalotta è un pavone sul
globo e nell’arcosolio di fondo è situata la scena che ha poi denominato il
cubicolo, nella quale otto personaggi trasportano una botte. Vestiti con una
tunica exigua clavata le figure, dai
volti deturpati a causa della loro damnatio
memoriae che sarebbe avvenuta nel XVII secolo, sono munite di bastoni. Come
dimostra la mancata caratterizzazione dei personaggi ritratti nella scena, il
cubicolo apparteneva probabilmente a una corporazione, uno dei tanti collegia funeraticia del tempo. Questo
collegio desiderò rappresentare nel proprio sepolcro una scena che
rappresentasse il mestiere cui essi erano deputati in vita. Che si tratti di
trasportatori di botti (o vinari), di fabbricatori di botti o ancora di distributori
di prodotti, poco importa; interessanti, invece, sono i riferimenti "realistici" della pittura. Sui quarti della volta sono rappresentate scene
della vita di Giona e di Noè, caratterizzato dalla consueta colomba.
Bibliografia principale:
V. Fiocchi Nicolai, F. Bisconti, D.
Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma,
Regensburg 1998.