giovedì 27 settembre 2012

La basilica di San Giovanni a Porta Latina a Roma



Serena Di Giovanni, Silvia Di Summa
(estratto delle tesi di laurea magistrale: “San Giovanni a Porta Latina: i dipinti murali del presbiterio”; “San Giovanni a Porta Latina: i cicli neo e veterotestamentari della navata”. A. A. 2010/2011)




1.1            Cenni storici

La chiesa di San Giovanni a Porta Latina sorge sul Celio, presso la via Latina, non lontano dalla porta omonima della cinta aureliana. Essa è contigua alla cappella di San Giovanni in Oleo, prima memoria eretta a Giovanni Evangelista su un presunto tempio dedicato a Diana, considerata per lungo tempo il luogo dello scampato martirio dell’apostolo.
Le notizie sulla vita e la morte di Giovanni, apostolo ed evangelista sono varie e, a volte, contraddittorie. Papia di Ierapoli (70-130 ca.) narra del suo martirio avvenuto, assieme al fratello Giacomo, per mano dei giudei. Policrate di Efeso (130-196 ca.), invece, in un frammento di un’epistola a papa Vittore I (189-199), riferisce della sua sepoltura a Efeso. È Tertulliano (II-III sec. d.C.) a fornire, tuttavia, una prima testimonianza dello scampato supplizio del santo, avvenuto intorno al 92 d.C.: «[…] ubi apostolus Iohannes posteaquam in oleum igneum demersus nihil passus est, in insulam relegatur». Secondo Girolamo (347-420 ca.) l’evento si sarebbe compiuto sotto Nerone (54-68), come si evince dall’Adversus Iovinianum (I 26) e dal commento a Matteo (ad 20, 23), composti fra il 393 e il 398. Ulteriori precisazioni a riguardo compaiono nei martirologi di VII-IX secolo, quali l’Adone di Vienna e i martirologi di Floro e di Vetus.
La chiesa fu forse edificata sotto papa Gelasio I (492-496), come proverebbero i bolli doliari di Teoderico (495-526) rinvenuti durante gli scavi novecenteschi. Il Liber Pontificalis riporta anche un suo successivo rifacimento, avviato da Adriano I (772-795): «…ecclesiam beati Johannis Baptiste sitam iuxta portam Latinam ruinis praeventam in omnibus noviter renovavit». Al tempo di Adriano I rimonta, con ogni probabilità, l’iscrizione visibile sul pozzo di fronte all’edificio «ego stephanus in nomine pat. et filii esp… i», mentre alla prima metà dell’XI secolo risale la notizia di una comunità di sacerdoti presente all’interno del complesso, promotrice di una vasta opera di riforma e caratterizzata da una vita di intensa spiritualità, povertà e obbedienza. Fra XI e XII secolo, la chiesa divenne luogo d’incontro di personaggi di primo piano nel progetto di riforma della Chiesa, come Benedetto IX (1032-1044), Gregorio VI (1033-1049), Bartolomeo abate di Grottaferrata, Lorenzo di Amalfi, Odilone di Cluny e Ildebrando di Soana. Sotto Celestino III (1191-1198) ebbe inoltre una nuova dedicazione, testimoniata dall’iscrizione un tempo murata in controfacciata e ora collocata sul fronte di un moderno leggio.
Allo scadere dell’XI secolo San Giovanni a Porta Latina è attestata come un’importante stazione liturgica delle celebrazioni del sabato precedente la Domenica delle Palme, che avevano luogo in San Giovanni in Laterano. Sebbene Gaetano Moroni, fonte di XIX secolo, supporti l’ipotesi secondo cui Gregorio I (590-604) avesse qui stabilito la stazione liturgica del sabato della Passione, per la stazione di Porta Latina appare arduo individuare un momento cronologico anteriore all’XI secolo. È però necessario ricordare che anche durante la cattività avignonese (1309) e il conseguente progressivo abbandono della città, la chiesa e il contiguo oratorio rimasero per molto tempo meta di pellegrinaggi. È inoltre plausibile ipotizzare che, fra XI e XIII secolo, un convento femminile benedettino fu annesso alla chiesa. Citato nel catalogo di Cencio Camerario del 1192, il monastero sarebbe esistito fino al pontificato di papa Bonifacio VIII (1299-1303). Quando quest’ultimo concesse la basilica lateranense al clero secolare, anche San Giovanni a Porta Latina dovette seguire le vicende della basilica madre. I beni, entrati a far parte del Capitolo Lateranense, si dileguarono e la comunità religiosa venne a trovarsi senza alcun reddito. Ne fu conseguenza il ritiro dei Canonici e l’abbandono del tempio. Solo nei primi decenni del XIV secolo vi si insediarono i Padri Clareni: ricordati dal Catalogo di Torino (1320 ca.), essi rimasero nella basilica fino al 1473, quando si trasferirono a San Girolamo della Carità. Il 15 gennaio 1496 il Capitolo Lateranense concesse la custodia della chiesa agli Eremitani di Sant’Agostino, che vi rimasero però solo pochi anni.
Diverse sono state le Congregazioni religiose che si sono alternate nella gestione della chiesa, spesso abbandonata a causa sia della sua posizione in aperta campagna, sia delle ristrettezze economiche a cui era sottoposta. Per questo motivo, quando anche l’ultima comunità religiosa venne meno, il Capitolo decise di incaricare un canonico, scelto tra i suoi membri, allo scopo di provvedere a tutte le necessità della chiesa, senza ricevere altri emolumenti. Questi canonici, detti ‘Difensori’ o abati commendatari, si susseguirono nella cura della basilica e dei suoi annessi per oltre un secolo e mezzo, utilizzando le loro sostanze per il suo sostentamento. La sua custodia diretta fu così affidata ai padri eremiti, che avevano la facoltà di raccogliere le elemosine dei fedeli e di «questuare il quanto occorreva al proprio mantenimento», con l’obbligo di pernottare nei locali annessi alla basilica, e di farvi celebrare le messe festive a proprie spese.
Nel 1703, i Padri Mercedari Scalzi ottennero dal Capitolo lateranense l’uso della chiesa e del convento; ma non essendo quest’ultimo abitabile per le sue cattive condizioni, si provvide a lavori di restauro e ampliamento. Nel 1729, ottenuta la chiesa in enfiteusi perpetua, ai Padri Mercedari succedevano i Padri Minimi di San Francesco da Paola. Questi avviarono l’edificazione di una fabbrica su via Latina, ma le forti spese e la zona malarica li costrinsero a spostare altrove il noviziato e ad affittare i locali per far fronte ai debiti contratti. Le condizioni dell’edificio andarono gradatamente peggiorando fino a quando i Padri Minimi, nel 1798, furono cacciati e dispersi dai francesi, e i locali, ormai cadenti, dati ai custodi della Porta. La chiesa minacciò allora di essere completamente spogliata di tutti gli arredi e le suppellettili e fu salvata solo grazie all’abilità e all’astuzia del vignaiolo, che versò di suo undici piastre ai soldati francesi. In quel periodo Porta Latina fu chiusa, con gravi conseguenze per la chiesa e per la zona, malsicura e spesso anche rifugio di scandali e nequizie. Il convento divenne così ospizio di pellegrini, alloggio di truppe di passaggio, più tardi deposito di lana e perfino essiccatoio di pelli per un beccaio.
Nel 1830, date le cattive condizioni della basilica e del convento, i Padri rinunciarono definitivamente a ogni diritto sul complesso e, nel 1859, su sentenza del tribunale, anche il convento passò in possesso del Capitolo lateranense.
Nel 1876 la cura della chiesa fu affidata ai Terziari francescani di Albì, che dovettero però allontanarsi a causa della malaria. Nel 1905 le suore della Ss. Annunziata, dette Turchine, entrarono in possesso del convento e vi fondarono un monastero di clausura, venendo tuttavia allontanate alla fine degli anni Trenta, quando l’estendersi ormai crescente della città rese necessario un servizio religioso regolare.
Dal 1937 subentrarono i PP. Rosminiani che, acquistato il convento, vi stabilirono il Collegio Missionario ‘Antonio Rosmini’, ancora oggi qui ubicato. 





1.2            L’edificio

L’edificio si apre di fronte a una piazza, il cui asse centrale corre da nord-ovest a sud-est, parallelo alla via Latina. Anticamente, l’area circostante era scarsamente abitata e poche tracce di tombe romane, anteriori alla costruzione delle Mura Aureliane, sono state rinvenute ai lati dell’omonima strada. La facciata è preceduta da un portico, sostenuto da cinque archi poggianti su due pilastri rastremati alle estremità laterali e su quattro colonne, che presentano basi, fusti e capitelli prelevati da antichi edifici. L’ampia fronte del portico si conclude con un alto attico e un fregio a mensola su cui si imposta direttamente la copertura. Un ampio portale cosmatesco, dal fregio intarsiato a porfido rosso e verde, consente l’accesso alla navata centrale. Originariamente due ulteriori aperture di minori dimensioni garantivano l’entrata all’interno della chiesa. Alla sua sinistra è situato il pozzo, fiancheggiato da due colonne con capitelli a foglie stilizzate e di piccole dimensioni, databili alla fine del V secolo. Appartiene, probabilmente, all’epoca di papa Adriano I (772-795) la margella dello stesso, dalla forma troncoconica e dal corpo decorato da un albero della vita, dal cui fusto centrale si dipartono due serie sovrapposte di racemi e nelle cui volute si dispongono fiori a petali ruotanti. Sul margine corre la scritta: in nomine pa(tri) et filii spi (ritus sant) i/omnes sitie (ntes venites ad aquas)/Ego Stefanus; il verso riporta le parole del profeta Isaia (55, 1): o voi tutti assetati, venite all’acqua. Sul lato sinistro del portico, e in stretta correlazione con esso, si innalza l’alta torre campanaria, variamente datata fra gli inizi dell’XI –XII secolo. Di forma quadrata essa mostra cinque piani di finestre, monofore nel piano inferiore, bifore con pilastro mediano al livello successivo e trifore colonnate negli ultimi tre piani.
L’interno dell’edificio è diviso in tre navate da due file di cinque colonne, in parte di reimpiego, sulle quali poggiano archi semicircolari. La navata centrale, alta 10,07 m. e larga 7,5 m., conclusa da un corto e oblungo avancoro e da un’abside, è ricoperta, come le navate, da un tetto a travi scoperte. Piccole finestre arcuate si aprono sopra le arcate e nella parete della facciata, dove sono chiuse da transenne marmoree. Anche le navate minori prendono luce da piccole finestre a semicerchio, ma le prime due campate di quella destra, confinanti con gli edifici del monastero, sono prive di aperture. La parte terminale della chiesa è costituita da un coro tripartito – frequente fra V e VI secolo a Ravenna, a Bisanzio e nelle regioni limitrofe – con avancorpi, in comunicazione con le navate mediante aperture ad arco. L’abside principale, dotata su ogni lato di un’apertura a tutto sesto e chiusa da lastre di onice giallo miele, si presenta semicircolare all’interno e poligonale all’esterno, formata dai tre lati di un esagono. Le navate minori terminano con due vani, i pastoforii, nei quali si aprono due piccole absidi; esse sono semicircolari, prive di finestre e addossate perpendicolarmente al muro di chiusura delle navate minori. Secondo Krautheimer i locali laterali, uno dei quali forse originariamente adibito a contenere il fonte battesimale, andrebbero ricondotti alle chiese cristiane d’Oriente.
La cronologia della basilica è ancora oggi molto dibattuta, avendo l’individuazione e la conseguente datazione delle sue diverse strutture murarie determinato pareri contrastanti tra gli studiosi. Krautheimer riconobbe nell’edificio due diversi tipi di muratura, che datò al V-VI secolo e al XII secolo. Matthiae, invece, fra il livello pavimentale paleocristiano e quello attuale di XII secolo, individuò uno stadio intermedio, che ascrisse alla fase edilizia di Adriano I (772-795). Di recente Claussen ha datato la parete laterale nord del portico, le navate con le relative arcate e la parete occidentale dell’edificio – di apparente muratura paleocristiana – alla fine dell’XI secolo. È dunque plausibile collegare il rifacimento architettonico di epoca romanica a un momento precedente la nuova dedicazione di Celestino III (1191-1198), verosimilmente compreso fra la fine dell’XI secolo (Claussen) e la prima metà del XII secolo. Per Parlato e Romano appare ragionevole congiungere l’avvio della nuova campagna edilizia al 1144, momento di passaggio di San Giovanni a Porta Latina al Capitolo lateranense. Schumacher e Sartori hanno tuttavia rilevato come la data del 1191 debba essere considerata unicamente quale testimonianza della riconsacrazione dell’altare, a seguito della sostituzione delle reliquie dell’Evangelista, passate al Sancta Sanctorum, con quelle dei santi Gordiano ed Epimaco, giunte a San Giovanni dal vicino ed eponimo cimitero di via Latina. La piccola targa marmorea disposta sotto l’altare maggiore, con i nomi dei martiri in caratteri epigrafici del tempo, rinvenuta durante gli scavi del 1915, sembra consolidare tale ipotesi. L’epigrafe di Celestino III, infatti, menziona il 10 maggio, anniversario del martirio dei due santi, e non il 6, data dell’Evangelista. Anche Orietta Sartori ritiene improbabile ancorare massicci lavori di ricostruzione ai decenni precedenti il 1191. L’epoca di maggiore fortuna dell’edificio può infatti considerarsi conclusa già alla metà del secolo; inoltre la chiesa, intorno al 1170, risultava funzionante per la tradizionale festività della stazione pasquale ivi celebrata.


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