domenica 7 ottobre 2012

Giulio Romano e l'antico

Tutti (o quasi) conoscono Giulio Pippi, detto Giulio Romano (1499-1546), architetto e pittore del Rinascimento e del Manierismo italiano, tra i più grandi collaboratori di Raffaello, con il quale intraprese diversi lavori. Egli collaborò, ad esempio, agli affreschi della Stanze Vaticane e alle pitture delle Logge e della Villa Farnesina e, alla morte del maestro, alle pitture di villa Madama e della Sala di Costantino nelle Stanze Vaticane. In seguito fu invitato, come artista di corte, a Mantova da Federico II Gonzaga, dove realizzò il bellissimo Palazzo del “Te”.

Il Pippi nacque ai piedi del foro romano, fra il Colosseo e la Colonna Traiana, fra l’arco di Costantino e il Campidoglio. Ebbe perciò accesso alle vestigia delle antichità e, come Hartt ha fatto notare, molte delle sue qualità artistiche si spiegano proprio per questo speciale rapporto con l’antico. Se Raffaello interpretò le forme classiche con spirito nuovo e cristiano, Giulio le lasciò spesso nella loro "pagana forza espressiva". È questo processo di ‘paganizzazione’ che, anche secondo Sylvia Ferino Pagden, permise di riconoscere nelle opere giovanili di soggetto religioso attribuite all'artista un’indipendenza dal modello raffaellesco. Fondamentale, inoltre, fu il suo apporto alle dispute teoriche, soprattutto durante gli ultimi anni di vita di Raffaello: dal progetto di ricostruzione dell’antica Roma, alla redazione di un trattato di architettura. 

Giulio Romano fu inoltre collezionista di opere antiche: intorno al 1518 acquistava la pregevole collezione di statue antiche di Giovanni Ciampolini, così descritta da Lanciani:

«Giovanni Ciampolino, amico di Angelo Poliziano, abitava « ad Campum Florae » […] nella contrada che conduce da campo di Fiore alla piazza di capi di ferro […]. I codici di fra Giocondo e di Jacopo Mazochio danno notizie non dispregevoli intorno a questo grande raccoglitore di monumenti scritti e scolpiti. Al f. 197 del codice di disegni […] v’è un disegno di sarcofago con iscena di battaglia, attribuito a fra Bartolomeo, con la legenda «Joanni Ciampolino […]». Anche il sarcofago con il trionfo indico di bacco, ora in Villa Medici è indicato nel Cod. Escorialense «in chasa el ciampolino» » (LANCIANI 1899, pp. 107-108).

Alla morte del Ciampolini, dunque, la raccolta passò a Giulio Romano e al Penni:

«Il Ciampolini Giovanni, l’appassionato collezionista, era già morto nel 1518. In un rogito del notaro Bartolomeo Benevolo […] che porta la data del 21 maggio di quell’anno, la casa di via de’ Balestrari […] si dice appartenere a Michael Zampolinus […]. Michele morì o sulla fine del 1519 o sul principio del 1520. La sostanza doveva essere divisa fra otto eredi. Giulio Romano e il Fattore offrirono la somma considerevole di centottanta ducati d’oro per le sole scolture, fra le quali doveva primeggiare il Torso» (LANCIANI 1899, pp. 107- 108).

Nelle mani di Giulio arrivarono « singulae figurae seu statuae, cornicia, et vasia» (LANCIANI 1899, p. 110) e, aggiunge Lanciani:

«chi sa se fra questi marmi non vi fosse anche il sarcofago col rilievo di Achille e Pentesilea [al] Cortile del Belvedere […]. Note sono le relazioni di intimità fra l’artista ed il suo mecenate Clemente VII. Niuna meraviglia pertanto che alcuni capolavori, fra i quali il torso, siano stati da lui ceduti o venduti al pontefice » (LANCIANI 1899, p. 110).

Del sarcofago esiste uno schizzo conservato all’Albertina di Vienna, vera e propria testimonianza di come il Pippi, attraverso l’incessante pratica del disegno, fosse in grado di riprodurre tutti i personaggi della mitologia antica. Anche a Mantova egli fece spesso riferimento ai disegni degli anni romani.
Non è chiaro come la raccolta fosse divisa fra Giulio e il Penni. Si deve notare, però, come Giulio nel testamento del 29 aprile 1524 lasciasse a Raffaello del Colle (suo garzone) tutte le cose pertinenti all’arte del pittore, escludendo dal lascito le antichità, di marmo e non di marmo, esistenti nella sua casa e altrove. Nella corrispondenza di Federigo Gonzaga esistono inoltre riferimenti al trasporto da Roma di pezzi della raccolta di Giulio ceduti al marchese. Escludendo le antichità dal lascito per Raffaellino del Colle, il Pippi dimostrava che le opere e i disegni tratti dall’antico erano per lui imprescindibili fonti e strumenti di lavoro.
L’atto di vendita della collezione Ciampolini parlava anche di ‘cornicia’: in casa, Giulio teneva capitelli e cornici antiche, come sembra anche confermare l’inventario della casa mantovana dell’artista, redatto nel 1573. Il documento ricorda la presenza di «un capitello anticho di marmore», a testimonianza della grande disponibilità di disegni, statue e rilievi antichi conservati nella sua dimora mantovana (BURNS 1989, p. 233).

Giulio Romano fu anche collezionista di monete antiche. Medaglie di età classica vennero citate nella ricostruzione della Roma passata che si vede sullo sfondo della scena dell’Adlocutio della sala di Costantino. Sfondo che Giulio Romano, rispetto a Raffaello, impreziosì attraverso una più minuziosa descrizione degli edifici di Roma: intravvediamo la Mole Adriana, il ponte sul Tevere e la Meta Romuli (figg. 1-3). 

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Evidentemente, la riaffermazione della posizione e dei privilegi del papato, in un tempo di crisi internazionale, sotto tutti i profili, rendeva necessario un alto livello di autenticità. Tutte le scene della sala si caratterizzano per un’attenta e scrupolosa, filologica, attenzione al particolare, teso a ricreare scenari « autenticamente costantiniani e romani » (fig. 3; BURNS 1989, p. 236).

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La critica ha da tempo rilevato come l’orchestrazione dell’Adlocutio (fig. 4) derivi dalla X scena della Colonna Traiana (fig. 5), adattata al nuovo significato religioso direzionando lo sguardo degli astanti verso il "signum eusebiano" (la croce). Un disegno preparatorio di Raffaello a Chatsworth ricalca bene l’antico modello. Appare chiaro, però, che siamo di fronte a un caso di commistione e fusione delle fonti: la scena, infatti, è altresì vicina al rilievo antoniniano dell’arco di Costantino. Inoltre, la rappresentazione dettagliata delle armature e degli equipaggiamenti, malgrado le differenze che a una attenta lettura delle immagini si possono riscontrare, rivela uno studio meticoloso dei modelli. Ricordiamo che i rilievi traianei e antoniniani dell’arco di Costantino (fig. 6) erano conosciuti anche per il tramite delle incisioni, tra le quali quelle di Marcantonio Raimondi rimandano a scene di battaglia dipinte da Peruzzi, Perino del vaga e, soprattutto, da Polidoro da Caravaggio, sulle facciate dei Palazzi romani (terzo decennio del Cinquecento).

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Il busto del soldato di spalle che scivola dalla cavalcatura sulla sinistra dell’episodio della battaglia di Ponte Milvio (fig.8) è stato posto a confronto con la scena IX della Colonna Traiana, anche se più fedele risulta il paragone con un dettaglio del sarcofago con scena di Battaglia al Museo Nazionale Romano (fig.7). Il rapporto è innegabile, soprattutto nel complicato atteggiamento dei caduti, nella loro posizione all’interno della composizione e nel modo con cui essi si collegano alla figura centrale dell’eroico vincitore a cavallo. 

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Ma se notevoli sono le somiglianze, altrettanto interessanti appaiono le varianti introdotte dall’artista, che usa l’inversione come metodo principale per mascherare il proprio modello: « Giulio voltò il cavallo posto dietro l’eroe, il che rese necessario un mutamento della posizione del nemico caduto. Un accorgimento simile adottò per l’altro soldato  caduto, aggiungendo uno scudo  per dissimulare la derivazione» (GOMBRICH 1973, p. 182). E aggiunge Gombrich: « proprio come ad uno stilista pienamente padrone delle regole della grammatica ciceroniana può persino accadere di migliorare un giro di frase ciceroniano, così Giulio si sentiva sufficiente padrone dell’anatomia e del movimento per eseguire le variazioni sugli antichi temi e persino per migliorarli con l’aiuto degli studi dal vero » (GOMBRICH 1973, p. 182).

Bibliografia:


- G. Vasari, Le Vite de più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare e indici a cura di P. Barocchi, vol. V*, Firenze 1984, pp. 55-82: leggere e confrontare le due versioni della vita di Giulio Romano.
- Giulio Romano, catalogo della mostra di Mantova 1989, Milano 1989, le schede alle pp. 247-275 (i disegni e i dipinti romani); pp. 317-332 e pp. 336-379 (architettura e decorazione di Palazzo Te).
- S. Ferino Pagden, Giulio Romano pittore e disegnatore a Roma, in Giulio Romano, catalogo della mostra di Mantova 1989, Milano 1989, pp. 65-95.
- K. Oberhuber, Giulio Romano pittore e disegnatore a Mantova, in Giulio Romano, catalogo della mostra di Mantova 1989, Milano 1989, pp. 135-175.
- Roma e lo stile classico di Raffaello 1515-1527, a cura di K. Oberhuber, catalogo di A. Gnann, catalogo della mostra di Mantova 1999, Milano 1999, le schede alle pp. 100; 101; 102; 103; 250-251; 252-253; 256-257; 258; 259; 268-269; 300-301; 330-331.
- E. H. Gombrich, Il Palazzo del Te. Riflessioni su mezzo secolo di fortuna critica 1932-1982, in “Quaderni di Palazzo Te”, I, 1, 1984, pp. 17-21.
- E. H. Gombrich, “Anticamente moderni e modernamente antichi”. Note sulla fortuna critica di Giulio Romano pittore, in Giulio Romano, catalogo della mostra di Mantova 1989, Milano 1989, pp. 11-13.
- J. Shearman, Giulio Romano e Baldassarre Castiglione, in J. Shearman, Studi su Raffaello, Milano 2007, pp. 157-169.
- P. Joannides, The early Easel Paintings of Giulio Romano, in “Paragone”, 1985, 425, pp. 17-46.
- F. Hartt, Giulio Romano, New York 1958 (2 voll).
- P. Pouncey-J.A. Gere, Italian drawings in the Department of Prints and Drawings in the British Museum. Raphael and His Circle: Giulio Romano, G. F. Penni, Perino del Vaga, Giovanni da Udine, Tommaso Vincidor, Polidoro da Caravaggio, Baldassarre Peruzzi, Timoteo Viti and Girolamo Genga, also Sebastiano del Piombo, London 1962 (2 voll).
- P. Joannides, Giulio Romano in Raphael’s Workshop, in The drawings of Giulio Romano (1499-1546), I disegni di Giulio Romano (1499-1546), atti del convegno New York, 6 novembre 1999, a cura di J. Cox-Rearick, Milano 2000, pp. 35-45.
- A. Belluzzi, Giulio Romano, Modena 2006. 

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