lunedì 15 ottobre 2012

Lazio medievale: il programma apocalittico della Cripta di Anagni



Il ciclo dipinto della cripta della Cattedrale di Anagni - ambiente dedicato a san Magno, vescovo e santo romano, le cui reliquie sono conservate nell'edificio - è una delle opere più significative della pittura medievale europea. Fu realizzato fra il XII e il XIII secolo, in un momento storico in cui la città era divenuta sede privilegiata della corte papale e teatro di importanti avvenimenti per la storia medievale. Nella metà del XII secolo papa Adriano IV vi sancì, infatti, la Lega Lombarda e successivamente, con Alessandro III, vi ebbe luogo il conflitto con il Barbarossa. Con Gregorio IX (1227-1241), inoltre, la città divenne scenario dello scontro tra il pontefice e Federico II. La fabbrica, eretta nell'ultimo quarto dell'XI secolo al di sopra di una chiesa del secolo VIII-IX, subì nel corso degli anni una serie di interventi significativi, estesi anche alla cripta. 
Il quadro critico di base del ciclo anagnino è ancora oggi quello prospettato da Pietro Toesca (1902), il quale distinse i diversi temi che compongono il complesso pittorico, così schematizzati:
- volta I: zodiaco (primo maestro);
-parete I: filosofi e poeti (primo maestro);
-volta II: microcosmo (primo maestro);
-sottarco A: scena di pesca (primo maestro);
- pareti 2-3: Ippocrate e Galeno; diagramma degli elementi; santi (primo maestro; terzo maestro)
- volta III: Tetramorfi (secondo maestro);
- parete 4: martirio dell'olio di san Giovanni Evangelista; san Magno salva il bambino caduto nel pozzo (secondo maestro);
- volta IV: angeli che sostengono il clipeo con la croce aurea (secondo maestro);
- parete 5: Cristo in trono fra quattro santi (secondo maestro);
- volta V: Samuele e Saul (terzo maestro);
- parete 6: Guarigione di Italo; Resurrezione di Paterniano di Leone (terzo maestro);
- volta VI: Battaglia di Maspht  (terzo maestro);
- pareti 7 e 8: Guarigione di Cita; san Magno richiama il vescovo Pietro di Anagni attraverso il risanato Andrea, tre santi (terzo maestro);
- volta VII: quattro profeti (secondo maestro);
- parete 10: Madonna con il Bambino e quattro santi (secondo maestro);
- volta VIII: quattro angeli (primo maestro);
-parete 11: san Pietro Vescovo e due sante;
- volta IX: distruzione degli idoli; ritorno di Israele a Dio (terzo maestro);
- volta X: L'arca a Bet-semes; L'arca a Cariat-Jearim (terzo maestro);
- volta XI: ritorno dell'arca ad Azotum (secondo maestro);
- volta XII: le calamità colpiscono i Filistei (secondo maestro);
- volta XIII: cattura dell'arca da parte dei Filistei (primo maestro);
-volta XV: Cristo con i simboli degli evangelisti (primo maestro);
- parete 25: sante Aurelia e Noemisia (primo maestro);
- parete 27: due sante (primo maestro);
- pareti 24-21: san Giovanni Battista, san Giovanni Evangelista; l'Agnello; La Madonna con il Bambino e due sante; storie di santa Secondina (primo maestro);
- volta XVI: Etimasia (primo maestro);
-volta XVII: Cherubini (primo maestro);
arco Q : apertura del sesto sigillo (primo maestro);
- volta XVIII: il Figlio dell'Uomo apocalittico (primo maestro);
- pareti 20-17 : distruzione degli strumenti liturgici di san Magno ; invocazione dei martiri; martirio di san Magno; seniori apocalittici; traslazione delle reliquie di san Magno; apertura dei primi quattro sigilli (quattro cavalieri dell'Apocalisse); seppellimento di san Magno (primo maestro). 
- volta XIX: attesa dell'apertura del settimo sigillo; angeli che aggiogano i venti; Arco T: angelo con il sigillo di Dio vivente  (primo maestro);
-volta XX: Elia ed Eliseo (primo maestro);
- volta XXI: Abramo e Melchisedec (primo maestro);
- pareti 16-13: san Sebastiano; angeli con le mani velate; santi; san Michele Arcangelo, santi, Cristo nella Mandorla; angelo con le mani velate; santi (primo maestro).




Nel catino dell’abside centrale, la Visione dell’Agnello Mistico si accompagna ai ventiquattro Vegliardi, mentre sulle pareti, a destra, sono i quattro Cavalieri dell’Apocalisse e, a sinistra, le Anime dei Martiri. I temi apocalittici proseguono sulla volta che fronteggia l’abside, con la Visione dell’Onnipotente, e su quelle laterali, con i cherubini e il monogramma cinto dalle lettere Alfa e Omega. Sempre qui si trova la scena della Sconfitta degli angeli ribelli; sulla fronte degli archi, invece, sono rappresentati gli Angeli tubicini. Infine, due volte accolgono il Tetramorfo e il Cristo benedicente tra i simboli degli Evangelisti. Nell’abside maggiore, accanto all’Agnus Dei dai sette occhi e dalle sette corna, munito del rotolo-libro aperto, su cui si legge l’iscrizione Ecce vicit leo de de tribu iuda radix d(avi)d aperire librum, sono collocati i quattro simboli degli Evangelisti a figura intera. Gli esseri tetramorfi di Anagni appaiono nimbati e presentano ali cosparse di occhi[1]. I Seniores sono corredati da strumenti musicali (verosimilmente delle cetre) e alzano calici verso l’Agnello, raffigurato all’interno di un clipeo bordato da tre fasce di diverso colore (iride)[2]. Essi non riflettono tanto l’immagine statica di Ap 4,4, quanto piuttosto i passi di Ap 5,8-9. Sotto i loro piedi, coperti da calzature simili a stivali, è il mare di cristallo di Ap 4, 6; 15,2, attraversato da più linee ondulate:

«Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco; coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell’Agnello».

Ventiquattro oggetti gemmati, identificati da Christe e Cappelletti come corone, fluttuano al di sopra delle loro teste (figg. 71,72,73,74)[3].
È probabile che in origine le pitture dovessero veicolare un messaggio complesso, solo in parte ricostruibile esaminando i nessi tra le vicende della cripta e gli eventi storici ad essi contemporanei[4]. Allo studio circostanziato di Pietro Toesca si deve una pioneristica lettura iconografica dei dipinti, utile alla comprensione dei temi principali: la classe cosmologica, le scene veterotestamentarie, quelle neotestamentarie e le storie dei martiri. Gli episodi del Nuovo Testamento attingono, in particolare, al contenuto di Ap 1, 5, 6 e 7[5]. La rappresentazione dell’abside deve essere letta in stretta connessione con la figura di Cristo fra quattro santi, la Croce della salvezza sorretta dagli angeli, L’Arca dell’Alleanza restituita dai Filistei agli Israeliti (da interpretare tipologicamente come la Seconda Venuta di Cristo) e il Cristo-giudice raffigurato sulle pareti e sulle volte dell’ambiente. L’apertura dei sigilli da parte dell’Agnus Dei va collegata con la sottostante traslazione dell’Agnello sacrificale[6].
Tra i più importanti studi sul ciclo figura il contributo di Attilio Quattrocchi[7]. Secondo lo studioso l’obiettivo precipuo del committente era quello di stimolare il fedele alla riflessione e alla contemplazione del cosmo, dalla Creazione alla Seconda Venuta di Cristo[8]. Il programma, dal contenuto quasi ermetico, sembra essere rivolto a specialisti ed eruditi. Più convincente quindi la lettura di Hugenholtz, che ha ricondotto i soggetti apocalittici alle vicende storiche di fine XII-inizi XIII secolo, epoca in cui erano largamente diffuse le tematiche sull’Anticristo, imperatore degli ultimi giorni e del Millennio[9]. Al fondamentale contributo di Toesca si deve il riconoscimento delle tre principali personalità attive nel cantiere di Anagni: il Maestro delle Traslazioni (impegnato nella zona absidale, nell’intera navatella prospiciente e sui dipinti del Macrocosmo e del Microcosmo), il Maestro Ornatista e il Terzo Maestro[10].
Lo studioso ha datato i dipinti entro il secondo quarto del XIII secolo[11], mentre Gandolfo li ha legati alla persona di Gregorio IX (1227-1241), il papa che aveva il suo palazzo a fianco della cattedrale[12]. Tale cronologia è stata condivisa anche da Parlato e Romano, che sostengono la sostanziale contemporaneità di esecuzione dell’intera decorazione[13]. Secondo Bianchi, tuttavia, la qualità pittorica del Primo Maestro, considerato il maggiore interprete della tendenza antiquaria dell’arte romana di XII secolo, renderebbe dubbia la datazione dei suoi dipinti all’epoca di Gregorio IX[14]. La critica ha del resto notato come l’autore dei simboli degli Evangelisti, dell’Agnello e dei Seniores sia difficilmente inquadrabile all’interno della cultura artistica duecentesca: al secolo XII rimandano, infatti, sia i suoi referenti stilistici, sia i suoi modelli iconografici, di chiara impronta paleocristiana[15]. Il riferimento al momento della consacrazione del 1179 fornisce, a giudizio di Bianchi, un inquadramento convincente per lo stile del primo pittore attivo nella cripta. Tale collocazione appare corroborata dal confronto con la coeva arte monumentale e da specifiche occorrenze iconografiche, da connettere alla cultura figurativa transalpina di epoca carolingia e romanica (IX-XII secolo)[16]. L’ipotesi di Bianchi sarebbe inoltre comprovata dai recenti interventi conservativi, che hanno permesso di rinvenire nella parte settentrionale della Cripta, al di sotto del pavimento cosmatesco in prossimità dell’altare di san Pietro, alcuni lacerti pittorici il cui intonaco sembra compatibile con quello utilizzato dal Maestro delle Traslazioni[17].




[1] I Viventi, alati e a figura intera, sostengono un volumen sigillato e ornato di gemme, come a San Pietro a Tuscania (fine dell’XI-inizi del XII secolo), a Rignano (secondo quarto del XII secolo), a Porta Latina (fine del XII secolo), alle Tre Fontane (fine XII-inizi XIII secolo) e al Sacro Speco di Subiaco (prima metà del XIII secolo).
[2] CHRISTE 1996, pp. 72-78.
[3] Ad un esame autoptico ravvicinato si potrebbe anche accostarli a piccoli rotoli svolti adorni di smalti, simbolo della lex divina. Così, infatti, recita il titulus che conclude la composizione: «qui laudant agnum seniores bis duodeni hos vetus et nova lexs doctores contulit aevi». V. anche CHRISTE 1996; CAPPELLETTI 2002.
[4] Frederik W. N. Hugenholtz, Un manifesto politico, in Un universo di simboli. Gli affreschi della cripta nella Cattedrale di Anagni, a cura di G. Giammaria, Roma 2001, p. 95, pp. 47-69.
[5] HUGENHOLTZ 2001, p. 50.
[6] P. Toesca, GIi affreschi della Cattedrale di Anagni, Roma 1902 (Le Gallerie nazionali italiane, 5), pp. 116-187. Secondo Smith, l’Arca costituirebbe l’elemento ‘unificante’ dell’intero programma pittorico. Interpretazione, questa, suggestiva ma ancora da precisare. Cfr. M. Q. Smith, Anagni: An Example of Medieval Typological Decoration, «Papers of the British School at Rome», 33, 1965, pp. 1-47; HUGENHOLTZ 2001, p. 50.
[7] Lo studio di Quattrocchi è riportato in GIAMMARIA 2001.
[8] La complessità tematica della decorazione di Anagni, in particolare dei soggetti cosmologici e apocalittici, escluderebbe questa ipotesi: HUGENHOLTZ 2001, p. 54.
[9] Già dal XII secolo gli studiosi avevano formulato nuove teorie sul testo apocalittico e sulla questione escatologica, stimolate dalle crociate e dalla lotta per le investiture. Agli esordi del XIII secolo, gli apporti eruditi di Anselmo di Havelberg e di Gioacchino da Fiore erano stati determinanti in proposito. Secondo Parlato e Romano «l’affermazione che complessivamente sgorga dal programma affrescato è probabilmente quella dell’autorità assoluta della Chiesa e del monito che si rivolge a chi osi sfidarla»: PARLATO-ROMANO 2001, p. 248; cfr. anche HUGENHOLTZ 2001, p. 63.
[10] TOESCA 1902, pp. 116-187.
[11] Ibidem. Questa ipotesi di datazione è stata generalmente accettata dalla critica, a eccezione di Van Marle e di Boskovitz (R. Van Marle, Le peinture romaine du Moyen Age, son développement du VIe jusqu'à la fin du XIIIe siècle, Strasbourg 1921, pp. 165-166; M. Boskovitz, Gli affreschi del Duomo di Anagni: un capitolo di pittura romana, «Paragone», 30, 1979, pp. 3-41).
[12] GANDOLFO 1988, p. 293; PARLATO-ROMANO 2001, pp. 241- 255; A. Tomei, Gli affreschi: una lettura, in UN UNIVERSO DI SIMBOLI 2001, pp. 39-45.
[13] PARLATO-ROMANO 2001, p. 252.
[14] A. Bianchi, Stato degli studi, in Il restauro della cripta di Anagni, a cura di A. Bianchi, Roma 2003, pp. 50-52, in part. p. 52. 
[15] Si veda da ultimo A. Bianchi, s.v. Anagni. Pittura, in Enciclopedia dell’arte Medievale, v. I, Roma 1991, pp. 547-550.
[16] Y. Christe, Un chapiteau de Mozac avec les anges des vents d’Apocalypse 7,1, «Arte Cristiana», 1989, 77, 733, pp. 297-302, in part. p. 302 ; CAPPELLETTI 2002, in part. pp. 163-233.
[17] BIANCHI 2003, p. 52. I restauri sono stati condotti dall’ISCR tra il 1987 e il 1994. Secondo Bianchi, i lacerti pittorici proverebbero che, in occasione della realizzazione del mosaico pavimentale (1230 ca.), furono scalpellale decorazioni già in opera, i cui frammenti, lasciati in situ, vennero inglobati nella malta di allettamento del pavimento stesso. Lo studioso ha ipotizzato, pertanto, che le pitture del Secondo e del Terzo Maestro si siano succedute a quelle del primo, giacché frutto di un rifacimento a posteriori. La sua tesi troverebbe conferma in un altro interessante dato: l’assenza, nell’area di pertinenza dei due maestri ‘successivi’, dei tituli che codificano gran parte delle immagini concepite dal primo pittore. Un elemento, questo, che indicherebbe la profonda divergenza tra le due parti del ciclo anagnino e che avvicinerebbe i dipinti ai coevi esempi laziali di XII secolo (San Clemente, Ceri, San Giovanni a Porta Latina).

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