martedì 2 ottobre 2012

Santi Silvestro e Martino ai Monti - Titolo Equitii


di Serena Di Giovanni





San Martino ai Monti, nota anche come "Santi Silvestro e Martino ai Monti - Titolo Equitii", è una chiesa basilicale di Roma, ubicata sulla sommità del Colle Oppio, nella zona Esquilina, più precisamente presso la Terza Regio, dedicata in origine agli dei egizi Iside e Serapide. L’area, in età classica, fu interessata dalla costruzione della Domus Aurea di Nerone e dalle imponenti strutture delle 
Terme di Tito e di Traiano. Il titolo Equitii, costruito probabilmente intorno al III secolo e forse in seguito adibito a scopi commerciali, è costituito da un grande ambiente rettangolare in laterizio sito al di sotto dell’attuale basilica. Intorno al IV secolo, probabilmente con Silvestro I, fu destinato al culto cristiano, e nel 499 e nel 595 ospitò ben due sinodi. Il Liber Pontificalis (o libro dei Papi), che contiene una serie di voci biografiche sui pontefici, nella vita di san Silvestro ricorda infatti che quest’ultimo, nei primi secoli della pace costantiniana (313), fondò presso le Terme di Domiziano, nel predio del presbiterio Equizio, il titulus in questione. Fu però papa Simmaco, nel VI secolo, ad ampliarlo includendo nell’edificio una cavea del III secolo; dopo di lui, ulteriori lavori furono portati avanti dai papi Sergio II e Leone IV, ai quali si devono l’erezione della basilica soprastante e il ripristino dell’antico titolo. Lacerti pittorici di epoca tardo antica e medioevale sono ancora visibili negli ambienti sotterranei, uno dei quali, denominato M, conserva interessanti frammenti di pittura murale recentemente datati all’epoca di Adriano I (772-795). È su queste pitture che vorrei soffermarmi, sia per la loro valenza storico-artistica, sia per la loro importanza storica. 

Fotografia acquerellata di J. Wilpert (1916). 
Roma, Santi Silvestro e Martino ai Monti, arco di Adriano I. 



Sulla fronte dell’arco dell’ambiente M, infatti, si legge ancora una frammentaria immagine dell’Agnus Dei (Agnello di Dio) nel clipeo fra due santi, identificati con Giovanni Battista ed Evangelista (vedi foto). Le figure impugnano il rotulo e sono corredate da iscrizioni, con le corruttele ‘tollis’ e ‘berbum’, tratte dall’omonimo Vangelo: Ecce Agnus Dei; ecce qui tollis peccata mundi; in principio erat verbum, et verbum erat apud deum, et deus erat verbum. Una fotografia acquerellata di Joseph Wilpert – sacerdote, iconografo e archeologo tedesco - consente di individuarne la trama iconografica, oggi consunta per via del cattivo stato di conservazione dei frammenti. L’Agnello, stagliato al centro contro un intenso sfondo blu, afferra il rotolo chiuso ed è indicato da Giovanni Battista, nimbato e dalla folta barba, che si accompagna all’iscrizione «scs Iohanis». Anche l’Evangelista, nimbato, imberbe e dall’aspetto giovanile, indica l’Agnello sopra di lui. Una stessa rappresentazione, con l’Agnus Dei e il rotolo dei sette sigilli indicati dal Battista e dall’Evangelista individuati da iscrizioni recanti le corruzioni tollis e berbum (i cui caratteri paleografici collimano con quelli delle epigrafi dipinte di San Martino ai Monti), compare poi nella frammentaria decorazione murale di Santa Susanna, ascritta anch’essa al pontificato di papa Adriano I. I lacerti pittorici - pertinenti a tre nuclei distinti, una serie di cinque busti di santi, un pannello con la raffigurazione della Theotokos fra due figure muliebri e la fronte dell’arco in esame - furono scoperti il 14 settembre 1991 all’interno di un sarcofago di marmo, rinvenuto nell’area di scavo in corrispondenza della navata sud dell’edificio carolingio e, secondo una valutazione stilistica, ricondotti da Maria Andaloro a un momento posteriore al pontificato di Paolo I (757-767). Evidenze di carattere archeologico e coincidenze di natura iconografico-compositive provano, inoltre, che i lacerti in questione, quelli di San Martino ai Monti e del perduto complesso pittorico del sacello di San Lorenzo fuori le Mura, appartengono a uno stesso milieu artistico-culturale. Un’altra indicazione in proposito è fornita peraltro dal Liber Pontificalis che, nella biografia di Adriano I (772-795), attesta due interventi rivolti al tetto di S. Martino ai Monti (778-779) e di Santa Susanna (779-780) e un restauro nella «basilica Maior beati Laurentii». 
A questo punto ci si potrebbe chiedere: chi era Adriano I ? e qual era il suo rapporto con l’iconografia dei due Giovanni nell’atto di indicare l’Agnello?
Proveniente forse da un’illustre famiglia dell’aristocrazia militare romana, Adriano I, consacrato pontefice, si trovò presto a fronteggiare Desiderio, re dei Longobardi, e fu per questo costretto a invocare l’aiuto del re dei Franchi, Carlo Magno. Giunto in Italia, quest’ultimo assediò con la sua armata la capitale longobarda, Pavia, mandando re Desiderio in esilio a Corbie. I rapporti con il futuro imperatore del Sacro Romano Impero furono importanti, per Adriano, tanto quanto le controverse e spesso complicate relazioni intessute con Costantinopoli. È noto, infatti, che le sue pretese indipendentistiche nei confronti dell’Oriente lo condussero addirittura a intraprendere una guerra contro la cittadina di Terracina, al tempo nel ducato bizantino di Napoli. Sembra però che Adriano I, a un certo punto del suo pontificato, abbia perseguito, in ambito religioso, la restaurazione dell’unità ecclesiastica fra Oriente e Occidente, affrontando in prima persona la crisi iconoclasta, che fu principiata con l’imperatore Leone III Isaurico e che proseguì con Costantino V. Sotto Leone IV la persecuzione fu in parte mitigata dall’intervento dell’imperatrice Irene, la quale intese ripristinare il culto delle immagini, ponendo temporaneamente fine allo scisma. Nel 785, inoltre, Adriano, con risposta alla missiva trasmessagli dagli imperatori di Bisanzio, in cui si ventilava la possibilità di convocare un concilio per superare il grave conflitto iconoclasta, inviò a Tarasio, patriarca di Costantinopoli al tempo dell’imperatrice Irene, una Synodica, con la quale si espresse a favore dei dettami imposti dal Canone 82 del Concilio Quinisesto o Trullano (692), che aveva interdetto la raffigurazione del Cristo sotto forma di Agnello. Il Concilio Ecumenico in questione (Nicea II) fu presieduto dal pontefice nel 787 e definì dunque la questione dogmatica relativa al culto dovuto alle immagini sacre, condannando l’iconoclastia. 
La presenza dell’Agnus Dei nelle composizioni di San Martino ai Monti, di Santa Susanna e di San Lorenzo fuori le Mura escluderebbe, alla luce di quanto esposto, una datazione delle stesse successiva al 785, anno della Synodica di Adriano a Tarasio; synodica che, lo ricordiamo, negò, di fatto, la rappresentazione zoomorfa del Cristo in forma di Agnello. Simbolo del sacrificio divino per la redenzione dell’umanità, quest’ultimo fu utilizzato nelle prime manifestazioni iconografiche catacombali romane come attributo del Cristo Buon Pastore e, nelle basiliche paleocristiane (San Pietro in Vaticano) e di VI secolo (santi Cosma e Damiano), come simbolizzazione del Cristo-Logos. Recuperarne l’iconografia significava dunque ripristinare un’antica simbologia, allacciarsi a una tradizione locale, quella del Cristianesimo delle origini, della Roma Cristiana dei grandi Papi “precursori”. Per questo, probabilmente, Adriano I ebbe premura di rimuoverla non appena le difficili condizioni politiche gli imposero di sacrificare alla pace con l’Oriente i simboli primitivi del primato della Chiesa di Roma. Lo fece, però, avendo cura di preservare i frammenti in un sarcofago sigillato, nell’intento, forse, di tramandare ai posteri quelle tracce di memoria del nostro passato. 
I lacerti pittorici di San Martino ai Monti, isolati e consunti dall’umidità, in buona parte dimenticati dai turisti (attratti spesso dalle sfarzose chiese barocche e dal grande passato classico dell’Urbe) sono dunque uno spaccato della nostra storia. Riflettono la complessa situazione politico-religiosa del papato nel corso dell’VIII secolo, le complicate e feconde relazioni di Adriano I e dello Stato Pontificio con la Pars Orientis e con Carlo Magno. Quest’ultimo, nell’800, divenne imperatore del Sacro Romano Impero, ponendo così le fondamenta della civiltà occidentale, che è poi la nostra civiltà.


Roma, Santi Silvestro e Martino ai Monti, sotterranei. 



Fonti bibliografiche principali: 
M. Andaloro, I papi e l’immagine prima e dopo Nicea, in Medioevo: immagini e ideologie, Atti del Convegno Internazionale di studi di Parma a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Parma 2002, pp. 525-540. 
A. Ballardini, Fare immagini tra Occidente e Oriente: Claudio di Torino, Pasquale I e Leone V l'Armeno, in Medioevo mediterraneo: l'Occidente, Bisanzio e l'Islam, Atti del Convegno internazionale di studi, Parma, 21-25 settembre 2004, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Parma-Milano 2007, pp. 194-214. 

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