Il dipinto è strutturato in cinque registri e
bordato da una fascia rossa e da una banda esterna ornata da motivi decorativi
a fogliette gigliate. I registri, separati da fasce, comprendono, in alto, una
composizione centralizzata. All’interno del primo scomparto è il Cristo assiso
sul globo cosmico, munito di croce astile e della sfera terracquea, affiancato
da due serafini a sei ali (Ez 10,12) sulle ruote di fuoco (Ez 1, 15-20; 10,
9-12) e da due angeli.
Nella fascia sottostante, dietro un altare con
gli Strumenti della Passione (la croce dorata, il libro, la lancia, i chiodi,
la spugna, la coppa e la corona di spine) il Cristo orante è affiancato ai lati
da due arcangeli in tunica rossa e loros
dorato e dagli apostoli assisi in stalli gemmati con suppedaneum. Al di sotto corre la prima di quattro iscrizioni. Sul
globo del Cristo appare «Ecce vici mundum»
(Gv 16,33), mentre sui cartigli degli arcangeli compaiono le citazioni da
Matteo 25, 34 e 41.
Nel terzo registro figurano i santi Innocenti (in
questo caso, a differenza di San Paolo f.l.m. e di Anagni, abbigliati con vesti
colorate) muniti di un libro sul quale si legge un passo tratto da Ap 6, 9-11.
Al centro è santo Stefano, vestito da diacono, con la palma del martirio. A
sinistra, alle spalle della Vergine, rivolta verso il Cristo nel gesto della Deesis, è il buon ladrone e, prima
ancora, la figura di san Paolo. Quest’ultimo regge un cartiglio con la
citazione della prima lettera ai Corinzi 15, 52 ed è posto a capo di una turba
di chierici e laici. Dall’altra parte, invece, articolate in tre scene, sono le
Opere di Misericordia (Mt 25, 31-46).
Lo sfondo delle Opere comprende
architetture classicheggianti e bizantineggianti, caratterizzate da elementi
timpanati, portici architravati ed esedre.
Al di sotto corre ancora una lunga iscrizione,
che guida alla lettura dell’immagine e fa riferimento al Giudizio. Nel quarto registro si assiste alla Resurrezione dei morti, i cui corpi appaiono rigettati dagli
animali della terra e dell’acqua, affiancati dalle relative personificazioni
della Tellus e dell’Oceanus. A destra due angeli suonano le
trombe mentre, in sepolcri marmorei, appaiono piccole figure fasciate. Tra
questo registro e il sottostante è di nuovo un’iscrizione, a descrivere le
scene.
Nell’ultimo registro, in basso a sinistra, è
una raffigurazione della Gerusalemme
celeste, al cui interno è la Vergine orante affiancata da due sante, forse
Prassede e Pudenziana. Alle loro spalle sono due figure femminili, poste a capo
di una schiera di personaggi maschili. Più in basso, al di fuori della città,
sono raffigurate le due donatrici, identificate con le iscrizioni Benedicta e Costantia abatissa. A destra si volge una scena infernale, con
episodi punitivi. L’ultima banda conserva un’iscrizione che promette il
Paradiso ai giusti.
Secondo Redig de Campos la tavola del Giudizio, inizialmente ricondotta al
monastero femminile dei Ss. Stefano e Cesareo nei pressi di S. Paolo fuori le
mura di Roma, doveva essere datata tra il 1040 e il 1080 circa (REDIG DE CAMPOS
1935; GARRISON 1984, pp. 153-192). Non era dello stesso avviso Wilhelm Paeseler
secondo cui la rielaborazione iconografica del consueto trono con l’Etimasia (trono
vuoto con le insegne di Cristo) del secondo registro - con il Cristo insieme ‘sacerdote’ e ‘agnello sacrificale’ - era intimamente connessa con il Dogma della
Transustanziazione formulato dal Quarto Concilio Lateranense (1215) e
promulgato dai Decretali di Gregorio
IX (1234). Il dipinto, pertanto, andava spostato alla metà del Duecento. Se
Salmi e Demus ricondussero la pittura ai primi decenni del XII secolo, Volbach
e Matthiae la datarono agli ultimi anni del XII, inizi XIII secolo. Nel 1967
Peri la collocò in un arco cronologico compreso fra il 1061 e il 1071. Lo
studioso, peraltro, verificò la sua provenienza dal convento di Santa Maria in
Campo Marzio e precisamente dall’altare della chiesa di S. Gregorio Nazianzeno,
ponendo in discussione la tesi del ‘Cristo
Sacerdote-agnello sacrificale’ sostenuta da Paeseler (SALMI 1943, p.
290-293; DEMUS 1968, p. 119; VOLBACH 1940, pp. 41-54; MATTHIAE 1966, pp.
153-155; GARRISON 1984, pp. 153-192; PERI 1966-67). Per Edward Garrison, il Giudizio Vaticano andava agganciato alla
seconda metà del XII secolo e, segnatamente, a quel revival di motivi paleocristiani che, da Pasquale II, sviluppò una
vera e propria rinascita dei modelli antichi, anche per opera dei benedettini
di Montecassino e di Cluny. La tavola fu confrontata con gli affreschi di San
Niccolò in Carcere, con le scene del Tabernacolo di Tivoli, con gli affreschi
del sottotetto di S. Croce in Gerusalemme, con le pitture di San Giovanni a
Porta Latina e con alcuni manoscritti prodotti da Gregorio da Catino (Farfa). Le
iscrizioni del pannello vaticano, affini ai tituli
di San Giovanni a Porta Latina e della cripta di Anagni, erano, per lo
studioso, frutto della cultura figurativa di XIII secolo. In altri studi il
dipinto è stato variamente agganciato alla seconda metà del XII secolo
(GANDOLFO 1988, PARLATO-ROMANO 2001), al primo XIII secolo (DE FRANCOVICH 1952;
IACOBINI 1991) e, più recentemente, al termine dell’XI, inizi XII secolo,
cronologia alta riproposta da Suckale nel 2002 (SUCKALE 2002). Alla luce delle
recenti osservazioni sulla natura della comunità religiosa di Campio Marzio,
Serena Romano e Felipe Dos Santos hanno considerato una sua datazione al terzo
quarto dell’XI secolo, confermando l’identificazione della Constantia abatissa con la vedova Constantia, fautrice, nel 1030, di una donazione al convento. I due
studiosi inoltre lo hanno posto in relazione con le icone di Palazzo Barberini
e del Salvatore benedicente e, sulla base delle tracce di grappe sul retro
della tavola, ne hanno proposto la sistemazione su una parete o su un altro
supporto, probabilmente sotto le arcate della navata o nell’abside (ROMANO –
DOS SANTOS 2006, pp. 49-53).
Negli anni Ottanta del Novecento Garrison considerò
alcuni esempi di pittura monumentale iconograficamente contigui alla tavola
vaticana: dagli affreschi di San Giovanni a Porta Latina alla decorazione della
cappella dei Ss. Quattro Coronati; dalle pitture di Santa Cecilia in Trastevere
del Cavallini agli affreschi di Santa Maria in Vescovio e, ancora, alla
decorazione di Santa Maria Donna Regina a Napoli. A questo elenco lo studioso
aggiunse la rappresentazione apocalittica della Cripta di Anagni, datata al
1237-1255. Tra gli esempi annoverati, Paeseler e Garrison si dedicarono, in
particolare, al Giudizio conservato
sulla controfacciata della chiesa di S. Giovanni a Porta Latina, considerato
una perfetta ‘reductio’ del pannello
vaticano (PAESELER 1938; GARRISON 1984, pp. 153-192).
Quanto ai modelli, è possibile che il dipinto
abbia avuto un prototipo di tipo monumentale, ancora sconosciuto. La citazione
di Panvinio « Frons
basilicae intus totae picturis antiquis et parum elegantibus ornata est,
Christi scilicet Servatoris novissimo die humanum genus indicantis »
(BAV, Vat. Lat. 6781, f. 315) potrebbe riferirsi a un perduto Giudizio sulla controfacciata di San
Giovanni in Laterano, verosimilmente successivo alla tavola vaticana. Qui, la
divisione in registri trova un confronto in esempi precedenti: dall’avorio del
Victoria and Albert Museum, al Giudizio di St. George alla Reichenau, a quello
di Torcello, per proseguire con i codici del Beatus, alla Bibbia di Farfa, fino alla controfacciata di S. Angelo
in Formis. Il Cristo sul globo del primo registro ha alle spalle una radicata
tradizione iconografica, di derivazione imperiale e costantiniana (SUCKALE
2002, p. 40), romana ma anche ravennate. In particolare, il dipinto condivide
con l’immagine del Cristo sul globo dell’abside di San Vitale a Ravenna il
contesto eucaristico, enfatizzato dalla rappresentazione dell’altare con gli
strumenti della Passione, forse di origine bizantina. Del resto, già Paeseler
(1938) aveva in esso riscontrato la presenza di motivi romani, orientali e
transalpini (PAESELER 1938; ROMANO – DOS SANTOS 2006, pp. 50-53), confermata da
Garrison e da Suckale recentemente ripresa (SUCKALE 2002, p. 84). Un mondo che,
per dirla con Dos Santos e Romano, « era
venuto a contatto con l’Italia, con Roma e con Montecassino per il tramite
delle personalità impegnate nelle prime fasi della Riforma, e per gli oggetti
nordici che giungevano ad esempio a Montecassino durante i governi degli abati
anteriori a Desiderio » (ROMANO – DOS SANTOS 2006, p. 53).