I dipinti murali di San Giovanni a Porta Latina
Serena Di Giovanni, Silvia Di Summa
Arco absidale e presbiterio
Il recupero dell’antico è il filo conduttore che lega San
Giovanni a Porta Latina ai molti episodi monumentali di XI-XII secolo. Già
emerso nella plastica architettonica, esso si rivela anche nella decorazione
pittorica dell’edificio. Quest’ultima copre ancora parzialmente l’arco absidale
e le pareti dell’avancoro, le due pareti della navata centrale e la
controfacciata. Lacerti sono visibili nell’ambiente terminale della navata
destra. Anche il portico doveva essere dipinto, come lasciano ipotizzare alcuni
frammenti conservati in situ.
Al centro dell’arco absidale, in stato frammentario, è il
Libro sigillato, un tempo verosimilmente posto sopra una cattedra sormontata da
una croce gemmata e cinta da due angeli dalle mani velate. Accanto appaiono i
quattro simboli degli Evangelisti muniti del Libro chiuso. Sui peducci
dell’arco sono dipinte due figure stanti, da Styger identificate con Giovanni
Evangelista (a destra) e Giovanni Battista. Il personaggio sulla destra
sorregge un volume con l’iscrizione “in principio erat verbum”. In alto corre
una greca multicolore e prospettica interrotta da riquadri, nei quali si
affacciano busti di angeli dalle mani velate. Una ghirlanda avvolta da un
nastro chiude verticalmente i lati corti dell’arco.
Le pareti laterali del presbiterio ospitano i ventiquattro Vegliardi
dell’Apocalisse, genuflessi in direzione dell’abside e disposti su due file da
sei. Tutti reggono corone gemmate sulle mani velate. In basso quattro edicole,
estremamente lacunose, inquadrano gli Evangelisti. Di esse rimangono solamente
i tituli e i simboli inseriti in timpani. Le iscrizioni consentono
l’identificazione di Marco e Matteo a sinistra e di Luca e Giovanni a destra. I
lati corti sono bordati dallo stesso motivo decorativo dell’arco absidale,
mentre il fregio che in alto delimita la decorazione, è costituito da mensoloni
abitati da elementi zoomorfi, fitomorfi e da esseri mostruosi.
San Giovanni a Porta Latina, interno, arco absidale.
Navata
Lungo le pareti della navata centrale si snoda un ciclo
vetero e neotestamentario composto da quarantasei riquadri; dalla parete destra, esso si
sviluppa seguendo un andamento anulare. Il primo registro, costituito da una
successione di diciotto scene tratte dal Vecchio Testamento, ha inizio sulla
parete destra contigua all’abside, prosegue verso l’ingresso e continua sulla
controfacciata e sulla parete sinistra, dove corre da sinistra a destra fino
all’emiciclo absidale. Le due fasce inferiori non proseguono sulla parete
d’ingresso, ma orizzontalmente dalla parete destra continuano nella
corrispondente zona di sinistra, seguendo il medesimo ordine di svolgimento del
primo registro; entrambe sviluppano trenta episodi tratti dal Nuovo Testamento.
Le due scene limitrofe della Crocifissione e della Deposizione al Sepolcro
costituiscono un’eccezione a questa norma: esse sono le due ultime
raffigurazioni del terzo registro della parete destra, ma occupano anche lo
spazio destinato ai riquadri del registro superiore, nel preciso intento di
conferire maggiore enfasi e importanza agli episodi. Le scene sono tra loro
separate mediante semplici fasce rosse profilate di bianco.
-
Parete
destra
Il
primo registro della parete destra comprende: La Creazione del Mondo, La Creazione di Adamo, La Creazione di Eva, Il
peccato originale, La condanna dei Progenitori, La Cacciata dal Paradiso
Terrestre e Il Cherubino di guardia al Paradiso. Il secondo registro presenta
l’Annunciazione, la
Visitazione , L’andata a Betlemme, la Natività , l’Annuncio ai
pastori, l’Adorazione dei Magi.
-
Controfacciata
Il
primo registro della controfacciata ospita le seguenti scene
veterotestamentarie: Il Lavoro dei Progenitori, Il sacrificio di Caino e Abele,
l’Uccisione di Abele, La condanna di Caino. Il secondo registro comprende: Il
sogno di Giuseppe, La fuga in Egitto, La strage degli Innocenti, Cristo fra i
Dottori, il Battesimo di Cristo, La Trasfigurazione.
Difficile e molto dibattuta tra gli studiosi è invece
l’identificazione delle due scene successive.
Nel
registro inferiore della controfacciata, separata dalle sovrastanti scene
bibliche da una larga cornice a fasce ondulate, è una versione abbreviata del
Giudizio con Cristo Giudice tra gli angeli. Ai lati del Salvatore, assiso entro
un clipeo, stanno due arcangeli con globo e cartigli, sui quali Styger e
Wilpert leggevano versi rivolti ai beati e ai dannati. Due angeli per parte
chiudono il registro. In basso, sotto i piedi del Cristo, è posto un altare con
gli Strumenti della Passione.
San Giovanni a Porta Latina, controfacciata, Giudizio Universale.
-
Parete
sinistra
Il
primo registro della parete sinistra comprende: L’ordine a Noè, L’entrata degli
animali nell’Arca, Abramo e i tre Angeli, Il sacrificio di Isacco, La
benedizione di Isacco, La lotta di Giacobbe con l’Angelo, Il sogno di Giuseppe.
Il secondo registro presenta La
Resurrezione di Lazzaro, un Miracolo di Cristo (lacunoso),
l’Entrata a Gerusalemme, L’Ultima Cena/La lavanda dei piedi, il Tradimento di
Giuda, il Trasporto della croce. Nulla rimane delle scene che intercorrono tra
l’Entrata a Gerusalemme e la
Crocifissione , la cui identificazione risulta possibile dalla
loro posizione nel ciclo e dai confronti con i cicli di S. Urbano alla
Caffarella e Ferentillo. Il registro prosegue con la Crocifissione , La Deposizione di Cristo
nel sepolcro. Il terzo registro della parete sinistra accoglie L’Angelo al
sepolcro, L’apparizione di Cristo alle Marie, L’andata ad Emmaus, la Cena in Emmaus, I due
discepoli di Emmaus narrano agli apostoli l’apparizione, L’incredulità di san
Tommaso, l’ Apparizione di Cristo agli apostoli sul lago di Tiberiade.
1.1
Note critiche
La decorazione di San Giovanni a Porta Latina è uno degli
esempi romani di revival del modello tipologico basilicale paleocristiano, che
ha i suoi prototipi in San Pietro in Vaticano e in San Paolo fuori le mura (V
secolo), e che coinvolge diversi monumenti dell’Italia centro-meridionale tra
XI e XIV secolo. In essa, tuttavia, si riscontrano molteplici variazioni
rispetto ai modelli: il numero delle scene, la loro disposizione, l’andamento
della sequenza narrativa, la scenotecnica e numerose varianti iconografiche
all’interno dei singoli riquadri. L’interesse degli studiosi che si sono occupati
dei dipinti è stato rivolto principalmente all’analisi delle fonti
iconografiche, fondamentale per la comprensione dell’intero ciclo. Styger,
Tronzo, Kessler e Viscontini inoltre hanno fatto notare la sua dipendenza dai
prototipi paleocristiani e il suo inserimento nel cosiddetto
‘gruppo umbro-romano’.
Le iconografie apocalittiche dell’arco e del presbiterio
Parigi, Bibl. S. Genevieve, Evangeliario di Saint–Frambourg De Senlis, s. Giovanni Evangelista. |
San Giovanni a Porta Latina, presbiterio, edicola con il simbolo di Giovanni.
Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Aureus di Sant’Emmerano, fol. 6r, Adorazione dei Vegliardi.
Margaret Manion negli anni Settanta del Novecento mise in
relazione i dipinti murali del presbiterio con le miniature dei Vangeli
carolingi di Soissons, in particolare circa l’accostamento dei ventiquattro Vegliardi
con gli Evangelisti (BNF, ms. lat 8850, fol. Ib). Più recentemente Fabrizio
Crivello ha evidenziato come la greca abitata e le edicole sormontate da
timpani, alternativamente semicircolari e triangolari, siano frequenti in età
ottoniana. Lo studioso ha altresì ricostruito l’origine delle iscrizioni
esegetiche dei quattro Evangelisti, ricollegando i tituli di Marco e Matteo al Carmen
Paschale di Sedulio e quelli di Luca e Giovanni ai versi delle miniature
del Codex Aureus di sant’Emmerano. Un
evangeliario prodotto dalla scuola di Carlo il Calvo, oggi perduto ma forse
giunto a Roma insieme con la
Bibbia di San Paolo fuori le Mura, potrebbe aver ispirato i
versi dipinti.
L’iconografia delle pitture dell’arco e del presbiterio è basata
su Ap 4-5, i cui prototipi figurativi sono da riconoscere nella pittura romana
di V-VI secolo. A Porta Latina, la traduzione figurata del tema è però caratterizzata
da una contaminazione tra fonti diverse, rintracciabili non solo in esempi di
pittura monumentale paleocristiana, ma anche nella produzione miniata di VI-X
secolo. Inoltre, l’ipotesi di Krautheimer che vuole la chiesa fondata nel V-VI
secolo, e la notizia di un suo rifacimento nell’VIII, inducono a ritenere che i
soggetti apocalittici dell’Adorazione dei Viventi e dei Vegliardi, dei due
Giovanni e degli Evangelisti,
fossero già stati illustrati sulle pareti del
presbiterio prima del XII secolo. È probabile che, nella nuova redazione romanica,
essi siano stati ripresi e rinnovati attraverso fonti iconografiche più vicine
nel tempo, soprattutto carolingie. Le edicole con gli Evangelisti e, particolarmente,
le iscrizioni tratte dai versi del Codex Aureus di Sant’Emmerano sembrerebbero
confermare questo ‘aggiornamento’. I versi, infatti, sono attestati a Roma
unicamente a Porta Latina e nell’Evangeliario Laurenziano, prodotto in uno
scriptorium dell’Urbe sul finire dell’XI secolo.
I
soggetti apocalittici dell’arco e dell’avancoro, pur essendo ancorati alla
tradizione locale, favoriscono inoltre alcune nuove e interessanti riflessioni.
L’ordito figurativo pare restituire, a distanza di secoli, la tradizionale
visione patristica e ticoniana di Ap 4-5, da leggere non come un’immagine della
fine dei tempi, bensì come una rivelazione simbolica sull’insieme dei tempi
della Chiesa, dall’Incarnazione (arco absidale/presbiterio), al ritorno di
Cristo nel Giudizio finale (controfacciata). I simboli degli evangelisti e
l’assemblea degli Anziani – composta dai patriarchi, dagli apostoli e da tutti
i santi – sono un’immagine ideale della gerarchia ecclesiastica, che governa (nunc)
e giudica attraverso il Cristo in vista del giudizio finale dei vivi e dei
morti (tunc). Nelle pitture apocalittiche è possibile leggere un’ordinatio,
originata dal perno cristologico delle rappresentazioni dell’arco e della conca
absidale. In esse inoltre è facile individuare un riferimento preciso
all’Incarnazione, comprovato dall’iconografia dei due Giovanni, dalle
iscrizioni esegetiche del presbiterio e, forse, dalla rappresentazione, oggi
perduta, della Vergine col Bambino in trono, un tempo probabilmente
raffigurata nell’abside, come lascerebbe congetturare lo studio dell’evoluzione
del tema nella pittura laziale di V-XIII secolo. Le tematiche cristologiche e
mariologiche sono svolte, inoltre, dagli episodi dell’Infantia Salvatoris della
navata e dalle Storie di Anna e Gioacchino e dell’Infanzia della
Vergine nel pastoforio destro, che, pur facendo capo a una diversa cronologia,
sono complementari al ciclo maggiore. L’Agnello/Verbo, qualora fosse stato
rappresentato sulla chiave dell’arco di S. Giovanni, costituirebbe, assieme
alla perduta rappresentazione della conca, il ganglio vitale dell’intero ciclo
pittorico, come già a San Paolo f. l. m. e a San Pietro in Vaticano (V secolo).
Il tema dell’Adorazione dei Viventi e dei Vegliardi è, in ogni caso,
motore naturale di tutto il sistema figurativo, al pari dei primi programmi
paleocristiani e di VI secolo. Gli Evangelisti sulle pareti dell’avancoro, in
prossimità dell’altare, costituiscono poi un elemento di totale innovazione in
uno scenario iconografico complessivamente già consolidato nell’orizzonte
pittorico di V-XIII secolo. Esemplati sui frontespizi miniati, essi fungono da
mediatori nell’interazione tra il Cristo/Agnello dell’arco absidale e
l’assemblea dei fedeli sulla terra e, per questo, si configurano quali
depositari della Buona Notizia. Underwood, Kessler e altri studiosi hanno
sostenuto in modo convincente l’ipotesi secondo la quale, nei vangeli carolingi
e nei frontespizi del Nuovo Testamento – cui la decorazione di Porta Latina
fortemente rimanda – gli Evangelisti avessero anche una funzione esegetica e
teologica, tesa a trasmettere concetti sviluppati nella letteratura patristica
con riferimento ai quattro Vangeli. Secondo Gregorio Magno (540-604), in
effetti, ciascun testo contribuiva a rivelare un particolare aspetto della
redenzione dell'umanità operata dal Cristo: uomo alla nascita, vitello
sacrificale alla morte, leone nella Risurrezione e aquila nell’Ascensione. Per
Sedulio e per il suo Carmen Paschale, i quattro, come simboli delle
acque del Battesimo, erano assimilabili ai fiumi del Paradiso derivanti da una
singola fonte, il Cristo. I loro scritti erano invece paragonabili alle
‘colonne portanti’ del cosiddetto tetragonus mundus.
Il
programma apocalittico del presbiterio di Porta Latina, come quello della
navata, doveva dunque sottolineare la contemplazione e la profondità del
mistero del Verbo Incarnato, la
Redenzione e la testimonianza pasquale dell’Apostolo nella
Resurrezione del Cristo; tematiche che, non a caso, si impongono nella teologia
e nell’eucologia della fine dell’XI e la metà del XII secolo, e nella liturgia
connessa alla festa di san Giovanni, il cui culto s’intensifica proprio durante
la Riforma
gregoriana. Il programma inoltre mette in scena la preghiera eucaristica
all’inizio del canone della messa, che per tutto il Medioevo risulta
sollecitata dalle parole del Vere dignum, con il quale tradizionalmente
cominciava il prefazio. L’orazione, che invoca le gerarchie celesti e il
Cristo, seguita dal canto serafico del sanctus, derivato da Isaia 6,3 e
da Apocalisse 4,8, appare particolarmente connessa con le immagini teofaniche
del Salvatore in gloria, o dell’Agnello, circondato dai Viventi, da angeli e
santi (assemblea degli apostoli e dei profeti). Il programma, pertanto,
trasforma in immagine quanto evocato dalla preghiera eucaristica, manifesta la
presenza del Cristo e della sua gerarchia celeste nella chiesa fisica, nello
spazio reale dell’edificio, diventando così un’allegoria della gloria della
Chiesa celeste e terrena. Come gli Evangelisti, anche i Viventi, gli Angeli e i
Vegliardi, simbolo della comunità celeste, confermano esplicitamente la loro
reale partecipazione al Vere Dignum. E tale orazione, in connessione
all’Agnello, assume particolare rilevanza nel tempo quaresimale e pasquale.
Il
ciclo vetero e neotestamentario della navata
Fra
XII e XIII secolo, numerose chiese a Roma e nel Lazio furono dipinte con cicli
testamentari, avendo come modello di riferimento la decorazione paleocristiana
di San Pietro in Vaticano e di San Paolo f.l.m.. In molti di questi edifici
scene dell’Antico e del Nuovo Testamento si contrappongono lungo le due pareti
della navata, mentre il Giudizio
Universale occupa la controfacciata. La decorazione pittorica di San
Giovanni a Porta Latina s’inserisce in questo gruppo pur presentando alcune
scelte del tutto originali. Le scene testamentarie si succedono lungo le pareti
della navata con andamento anulare. Questa ‘disposizione circolare’ consente
una lettura continua dei cicli scena dopo scena, senza il rischio di ‘percorsi
ciechi’ che obblighino a ritornare, passando da un registro all’altro, al punto
di partenza. Essa, inoltre, rispetto alla disposizione dei cicli ordinata per
pareti, crea nella navata una narrazione continua che unifica lo spazio sacro.
Baschet
ha notato come la Storia
della Salvezza, illustrata attraverso il ciclo narrativo, si attualizzi nel pensiero
medievale in due modi: «come rappresentazione lineare di una storia orientata,
dalla Creazione alla fine dei tempi; come reiterazione ciclica del tempo
liturgico che commemora tale storia». Secondo lo studioso è possibile che lo
sviluppo della ‘disposizione circolare’ dei cicli sia da leggere in relazione
alla temporalità liturgica: entrando nell’edificio di culto, «fedeli e clero si
trovano inglobati, presi nella circolarità di una storia sacra la cui liturgia
celebra, nel corso dell’anno, i momenti principali».
A
Porta Latina, la sequenza delle scene della Genesi ha inizio sulla parete
destra con la Creazione del Mondo, e prosegue – dall’abside
verso la controfacciata – con le Storie dei Progenitori, di Caino e Abele, di
Noè, di Abramo e di Giacobbe, per terminare con il Sogno di Giuseppe. Il ciclo continua sulla controfacciata e,
successivamente, sulla parete sinistra fino all’abside. Il programma
neotestamentario segue lo stesso percorso, ma si sviluppa lungo i due registri
inferiori delle pareti della navata senza interessare la controfacciata. Questa
struttura permette di dispiegare un ciclo cristologico quasi completo: il Battesimo di Cristo occupa l’undicesimo
riquadro, preceduto da un cospicuo numero di scene dell’Infanzia; ridotta è,
invece, la serie relativa alla Vita Pubblica di Gesù, la quale termina con la Resurrezione di Lazzaro; sei scene sono dedicate,
poi, alla Passione del Signore, mentre gli ultimi otto episodi sono riservati
alle Apparizioni post-mortem. Presentando
la lettura ‘canonica’ del Vecchio Testamento quale antefatto storico del Nuovo,
questa disposizione delle scene ha indotto alcuni studiosi a proporre alcune
associazioni ‘alternative’ a quelle tradizionali. Questo ha consentito, in
alcuni casi, di mettere in relazione determinati episodi dell’Antico e del
Nuovo Testamento, in modo da rendere ben visibile la concordanza tipologica tra
le due parti della Bibbia.
Kessler
ha notato come l’unità delle Scritture si palesi già all’inizio della
decorazione, nella figura dello stesso s. Giovanni Evangelista. Nella chiesa
che ne glorifica il martirio romano, egli è ritratto alla sinistra dell’altare
(arco absidale, peduccio destro) con, tra le mani, il libro aperto sulle parole
iniziali del suo Vangelo: «In principio
erat Verbum (Gv 1, 1)». Esse si collegano al titulus della Creazione del
Mondo, «In principio creavit D[eus]
Terram (Gen 1, 1)», e introducono così al ciclo biblico che si dispiega
lungo la navata. Al di sotto della Creazione
è posta l’Annunciazione a Maria, la
quale alluderebbe alla ‘seconda genesi’, il secondo inizio avvenuto mediante
l’Incarnazione del Signore. L’armonia tra i due Testamenti è resa esplicita già
all’inizio del programma decorativo, al cui interno la figura dell’Evangelista
assume un ruolo di primo piano.
Ulteriori
accostamenti ribadiscono l’intima correlazione tra i due Testamenti. Il primo
esempio, di grande importanza, è offerto dal legame che intercorre tra la Cacciata dei Progenitori (parete destra, sesto
riquadro del primo registro) e la sottostante Crocifissione (penultimi due riquadri del secondo e terzo registro)
tramite il titulus che corre al di
sotto dell’episodio veterotestamentario e al di sopra di quello
neotestamentario: «Inmortalem decus per
lignum perdidit hoc lignum».
San Giovanni a Porta Latina, parete destra.
Primo
registro: Cacciata dal Paradiso terrestre; secondo registro: Crocifissione
Secondo
Kessler, questi versi letteralmente si riferiscono alla causa del peccato e
alludono alla punizione attuata da Dio nei confronti di Adamo ed Eva dopo che
essi ebbero mangiato dall’albero della Conoscenza del Bene e del Male: l’uomo
ha perso lo splendore del Cielo (la parola ‘decus’
sottintenderebbe ‘Caeli’) a causa del
‘legno’. Tuttavia, una lunga tradizione che giunge fino a Ireneo (130-202)
riporta che il legno dell’albero del Paradiso fu utilizzato per realizzare la Croce sulla quale Cristo
sarebbe morto; la parola ‘lignum’
allude così sia all’albero della Conoscenza violato nel Peccato Originale che
al legno salvifico della Croce, come Manion ha specificato: «“Inmortalem decus caeli” is a liturgical
phrase for eternal life and “lignum” carries all the overtones of the parallels
drawn in Christian imagery between the tree of Paradise and the saving wood of
the cross». La studiosa ha, inoltre, ricordato come questo tema fosse
presente nei poemi e negli scritti della prima Cristianità, in particolare
affrontato nell’inno “Pange Lingua
Gloriosi Lauream Certaminis”, cantato durante l’Adorazione della Croce
nella Liturgia del Venerdì Santo. Nella Cacciata
dei Progenitori non compare l’albero della Conoscenza: il titulus riassumerebbe così l’intera
narrazione della Caduta di Adamo ed Eva e la presenterebbe nella prospettiva
salvifica della Crocifissione. A detta di Kessler, un ulteriore nesso lega
queste due scene: le mura gemmate del Paradiso identificherebbero il «decus [Caelis]» come la Gerusalemme Celeste
alla quale i beati torneranno alla fine dei tempi. Nell’Apocalisse di Giovanni,
essa è descritta come una città lucente: «Le mura sono costruite con diaspro e
la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura
della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose [...] E le dodici
porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la
piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente (Ap. 21, 18-21)»
Tornando
alla lettura delle scene, la giustapposizione Sacrificio di Caino e Abele /Giudizio
Finale sulla controfacciata costituisce un altro esempio di collegamento
figurale: i due fratelli, nell’atto di porgere a Dio le loro offerte,
prefigurano il Giudizio divino e la distinzione tra fedeli e malvagi. Questa
interpretazione troverebbe un’ulteriore conferma nella stessa resa della scena,
che presenta un elemento iconografico inusuale nel panorama laziale di XI-XIII
secolo: le fiamme che divampano dall’ara centrale. Esse si innalzano vigorose
dal lato di Abele, mentre si abbassano da quello di Caino, e rendono così
esplicito il diverso atteggiamento di Dio Padre nei confronti dei due
sacrificanti. Anche la vicinanza Giudizio
Finale e Ordine a Noè di costruire
l’arca/Entrata degli animali nell’arca non può ritenersi casuale. Gli
episodi veterotestamentari occupano, a partire dalla controfacciata, i due
riquadri iniziali del primo registro della parete sinistra: si allude così alla
Redenzione dei Giusti. A questo riguardo, la seconda Lettera di Pietro (2 Pe.
2, 4-5) confronta la salvezza dei beati con quella di Noè: «Dio infatti non
risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi
tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio; non risparmiò il mondo
antico, ma tuttavia con altri sette salvò Noè, banditore di giustizia, mentre
faceva fiondare il diluvio su un mondo di empi [...]».
Così
anche il Sogno di Giuseppe (parete
sinistra, ultimo riquadro del primo registro) e l’Adorazione dei Ventiquattro Vegliardi (presbiterio) sono tra loro
collegati: l’evento veterotestamentario è indicato quale prefigurazione
dell’adorazione dei Vegliardi. Il secondo Sogno di Giuseppe, con il sole, la
luna, le stelle e i covoni di grano inginocchiati ai suoi piedi, è interpretato
quale profezia dei popoli che avrebbero adorato Cristo. Manion, inoltre, ha
analizzato il ruolo svolto dal Giudizio
Universale, «fittingly incorporated
within the whole biblical program of the church», nella narrazione
neotestamentaria: esso svolgerebbe anche la funzione di collegamento tra le due
scene della Crocifissione e della Deposizione al sepolcro della parete
destra con i successivi episodi relativi alla Resurrezione, sulla parete
sinistra.Il
ruolo detenuto dal Giudizio Finale
nello svolgimento del programma biblico sarebbe testimoniato anche dalla sua
particolare disposizione: solitamente isolato sulla controfacciata, a Porta
Latina esso condivide lo spazio con le scene veterotestamentarie (Condanna al
Lavoro dei Progenitori e vicenda di Caino e Abele), con le quali instaura un
rapporto figurale. Inoltre, la sua larghezza corrisponde perfettamente a quella
complessiva dei due registri inferiori neotestamentari, suscitando così
l’impressione di una continuità nello svolgimento ad anello.
Il
programma della basilica non è costruito su un equo bilanciamento di Vecchio e
Nuovo Testamento: si rammenta che il primo comprende diciotto scene, il secondo
trenta episodi. Come già nella particolarità della disposizione ad anello,
anche questo elemento può configurarsi quale caratteristica del ciclo di Porta
Latina rispetto a quanto analizzato nel contesto romano e laziale. Nella norma
a un determinato numero di episodi veterotestamentari dovrebbero corrispondere
altrettanti neotestamentari: come avveniva a San Pietro in Vaticano e a San
Paolo f.l.m., e probabilmente anche nei cicli successivi di San Benedetto in
Piscinula, Santa Maria Immacolata a Ceri, Santa Maria Montis Dominici a Marcellina, San Nicola a Castro dei Volsci, Santa
Maria a Vescovio. Manion ha proposto di leggere «the whole narrative of the Old Testament» come «a sequence of events leading to the fulfillment of the promise of
salvation in the New». In
particolare, la studiosa ha scomposto il ciclo neotestamentario in quattro
unità: la prima relativa all’Infanzia di Cristo, la seconda alla Vita Pubblica,
la terza dedicata alla Passione e alla Crocifissione, e l’ultima alle
Apparizioni post-mortem. La prima e
l’ultima unità svolgono un ruolo di primo piano nell’economia interna del
ciclo. L’infanzia occupa circa un terzo della superficie disponibile: svela il
potere e la divinità di Cristo e le speciali circostanze che ruotano intorno
alla Sua nascita; mentre l’ultimo registro della parete sinistra è interamente
occupato dagli episodi successivi alla Sua morte, rivelatori del grande dogma della
Resurrezione. Forse, proprio nella particolare enfasi conferita alla sequenza
neotestamentaria, così come nella selezione delle scene, potrebbe essere
individuata la chiave di lettura del ciclo di Porta Latina. Esso svilupperebbe i due misteri fondamentali
della Cristianità: quello dell’Incarnazione e quello della Resurrezione, nella
prospettiva della Redenzione. Enigmatico è l’esempio addotto della Cacciata/Crocifissione: la caduta dell’uomo che trova il riscatto e la
propria redenzione nel Sacrificio (Morte e Resurrezione) del Signore; è
attraverso esso che l’uomo potrà tornare alla Gerusalemme celeste. Questa
interpretazione potrebbe essere ulteriormente rafforzata, come accennato, dalle
scene frammentarie conservate nel pastoforio destro.
Come
i soggetti apocalittici dell’avancoro, anche le scene della navata, circa
l’iconografia, riflettono l’arte monumentale della tarda antichità e del primo
Cristianesimo a Roma. È un’ipotesi, questa, che risulta avallata in particolare
da alcuni elementi iconografici presenti nelle scene della Creazione e della
Caduta dell’Uomo: la figura del Signore seduta sul globo e la Sua mano alzata nel gesto del
potere; la posizione reclinata di Adamo che rammenta quelle delle divinità
fluviali; il disporsi colpevole dei Progenitori ai lati dell’albero nel Peccato originale che rimanda ad
analoghe composizioni ritrovate nelle catacombe e sui sarcofagi. Fondamenti
risultano, inoltre, i raffronti individuati dagli studiosi con la serie delle
Bibbie Atlantiche. In questa sede preme porre in evidenza i nessi che legano la
recensione illustrata delle Bibbie in questione con gli arrangiamenti
iconografici propri di San Giovanni a Porta Latina. Analoga è la tipologia del
Creatore giovane, imberbe e racchiuso entro il segmento del cielo nella
Creazione del Mondo della chiesa dell’Evangelista con gli esemplari miniati, in
particolare con la Bibbia di Santa Cecilia, mentre la Sua posizione seduta sul
globo nella Creazione di Adamo e in quella di Eva e il particolare dell’alito
divino per infondere la vita in Adamo si collega alle analoghe scene della
Bibbia di Todi, del Pantheon e della Seconda Bibbia dell’Angelica.
La
sequenza, al di là delle singole varianti, del Peccato dei Progenitori, del
Rimprovero dei Protoparenti, della Cacciata dal Paradiso Terrestre e del Lavoro di Adamo ed Eva è del tutto
simile a quanto si riscontra nella Bibbia di San Valentino in Piano, nella
Bibbia di Todi, nella Bibbia del Pantheon e nella Seconda Bibbia dell’Angelica.
Inoltre, si ritrova nel gruppo atlantico, in particolare nella Bibbia del
Pantheon e nella Seconda Bibbia dell’Angelica, quella specifica fusione tra i
corpi dei Progenitori nella Cacciata che contraddistingue anche Porta Latina.
In particolare, è eloquente la rispondenza iconografica con il quarto registro
della pagina miniata della Bibbia del Pantheon (Cacciata dall’Eden, Cherubino
di guardia alla Porta del Paradiso, Lavoro dei Progenitori), dove l’Angelo (e non Dio) che caccia i Parenti e la
posizione mesta di Eva e quella di Adamo intento a zappare la terra sono quasi
palmari. Analogo è il confronto con il Cherubino a guardia della Porta
dell’Eden miniato nella Seconda Bibbia dell’Angelica: in entrambi i casi, egli,
avvolto dalle ali, sguaina la spada a difesa della porta della città, chiusa
alle spalle dei Progenitori. Si
debbono inoltre rilevare alcune particolarità iconografiche che, analogamente
alle pitture del presbiterio, distinguono il caso di Porta Latina dai suoi
prototipi paleocristiani: il mare ricco di pesci nella Creazione del Mondo –
presente anche a Santa Maria Immacolata a Ceri e a San Pietro in Valle a
Ferentillo e secondo Kessler simbolo della Chiesa in Terra, fonte delle acque
vitali e, dunque più in generale, della vita –, e la testa di Abyssus tra le
acque del mare. Questo particolare attributo appare solo nella lastra d’avorio
oggi a Berlino (settimo decennio XI secolo ca.) e nell’Oratorio di Thomas
Becket ad Anagni (terminus post quem
1173). Nel primo caso, la testa umana compare addirittura due volte: nella
scena della Creazione del Mondo sul verso e nella Crocifissione sul recto. Anche
la Benedizione di Isacco di Porta Latina presenta soluzioni e particolari
iconografici che la contraddistinguono dagli esempi paleocristiani di San
Pietro in Vaticano e di San Paolo f.l.m.. Se la presenza del Patriarca sulla
cline e di Giacobbe di fronte a lui la riportano agli esemplari di V secolo, il
piatto con le pietanze offerto dal secondogenito è una novità, così come
l’arrivo di Esaù con la selvaggina dopo la caccia. Queste caratteristiche, che
si riscontrano anche a Santa Maria Immacolata a Ceri e a San Pietro in Valle a
Ferentillo, sarebbero legate secondo Kessler a delle nuove letture del testo
biblico connesse alle circostanze politiche e religiose che si sono verificate
a partire dall’XI secolo.
Se
a giudizio di Manion «the iconography of S. Giovanni so clearly reflects the
re-modelling of themes which took place in the 8th century under the impetus of
Byzantine influences in the city», per Viscontini nel ciclo neotestamentario è
possibile riscontrare numerose inserzioni iconografiche di origine bizantina.
Esse riguardano soprattutto l’utilizzo di materiale tratto dai Vangeli
apocrifi, in particolare nelle scene dell’Infanzia di Cristo: l’attributo del
filo di porpora nell’Annunciazione e l’inserzione della terza figura femminile
nella Visitazione, quest’ultima diffusa soprattutto in ambiente cappadoce. Anche
la presenza del primo figlio di Giuseppe nell’Andata a Betlemme, la
rappresentazione congiunta della Natività/Lavanda di Gesù Bambino, e lo schema
della Resurrezione di Lazzaro sono canonici in ambito bizantino; come anche
l’Apparizione del Signore alle due Marie – Kairete (preferito al Noli me
tangere) è un tema insolito nell’iconografia occidentale. È tuttavia arduo sostenere
l’ipotesi di una dipendenza iconografica delle scene cristologiche di Porta
Latina dal prototipo vaticano. Di quest’ultimo, le citate testimonianze
documentarie riportano pochissimi episodi. E, sfortunatamente, tra i suoi cd.
‘derivati romanici’, possibili termini di un confronto, non si è conservato per
larga parte intatto nessun ciclo neotestamentario, come dimostrano gli
analizzati casi di Santa Maria Immacolata a Ceri, Santa Maria delle Grazie
Montis Dominici a Marcellina, San Nicola a Castro dei Volsci.
Come
per i dipinti del presbiterio, è poi possibile riconoscere nelle scene
dell’Infanzia Salvatoris la presenza di elementi e schemi di origine bizantina
che a Roma già compaiono nel V-VI secolo. Soprattutto per quanto riguarda l’uso
di materiale desunto dai Vangeli Apocrifi, in special modo dal Protovangelo di
Giacomo. Nell’Annunciazione, infatti, il filo di porpora, desunto dagli
Apocrifi, era già apparso a Roma nella scena mosaicata sull’arco trionfale di
Santa Maria Maggiore, risalente al V secolo. Un altro elemento
contraddistingue, inoltre, Porta Latina da tutte le altre scene prese in esame
nel panorama laziale: tre raggi si dipartono dal menisco divino e sembrano
toccare l’orecchio di Maria. A partire dal XII secolo l’Annunciazione viene
riconosciuta con maggiore enfasi come l’evento in cui si attua il piano della
salvazione attraverso Maria (nuova Eva, vincitrice sul male e sul peccato dei
Progenitori), madre di Cristo e di tutta l’umanità redenta. Il momento
dell’Incarnazione può così anche essere colto nella rappresentazione del Verbo
che, ascoltato da Maria, si fa carne: iconograficamente, ciò è reso attraverso
un raggio luminoso o una linea purpurea che entra nell’orecchio della Vergine.
Probabilmente, a Porta
Latina, compariva anche, alla sinistra di Maria, un’ulteriore figura, forse
identificabile con un’ancella. Oggi è del tutto scomparsa, ma è testimoniata
nella fotografia acquerellata di Wilpert; inoltre, a un’attenta osservazione di
una fotografia, scattata dopo i recenti restauri, si scorgono ancora le sagome
dei piedi. La presenza di un’ancella è un elemento che sicuramente Porta Latina
non recupera dal periodo paleocristiano (dunque nemmeno da San Pietro in
Vaticano), poiché il suo inserimento nell’iconografia dell’Annunciazione è
attestato solo a partire dall’VIII secolo, forse influenzato dalla presenza
analoga dell’ancella nella Visitazione. Essa è presente a Roma a Sant’Urbano
alla Caffarella e, successivamente, a Santa Maria delle Grazie Montis Dominici
a Marcellina.
Anche
la Natività si presenta aderente ai canoni bizantini, e segue uno schema che, a
partire soprattutto dal V-VI secolo, sostituisce quello maggiormente diffuso in
Occidente. Il presepe non è più posto sotto una capanna o una tettoia, ma
generalmente all’aperto o sotto una grotta; la Vergine siede su un giaciglio e
s. Giuseppe è seduto pensoso. Numerosi elementi di questa composizione rivelano
una contaminazione dagli Apocrifi: così la presenza costante del bue e
dell’asino e l’attitudine solitaria e meditativa di Giuseppe, forse dipendente
da quanto riportato nel Protovangelo di Giacomo. In ambito bizantino, inoltre,
la scena della Natività è accompagnata dalla Lavanda del Bambino: così appare a
Sant’Urbano alla Caffarella e a Porta Latina. Tra i monumenti analizzati solo a
San Pietro in Vineis ad Anagni, essa gode di spazio autonomo. La scena di Porta
Latina presenta, a mio avviso, le maggiori affinità con quella della Cassetta
eburnea di Farfa (nonostante l’assenza del Bagno di Gesù): pur nella diversità
di alcuni elementi, analoga è tra i due esemplari la disposizione e la
posizione della Vergine e di s. Giuseppe. Questo confronto, unitamente a quello
che può essere istituito con Sant’Urbano alla Caffarella, l’avorio di Salerno,
la Grotta degli Angeli a Magliano Romano, l’Oratorio di Thomas Becket e San
Pietro in Vineis, permette di ipotizzare che, in base ad uno schema
iconografico che si reitera immutato, anche la scena di Porta Latina disponesse
della mangiatoia, del Bambino, del bue e dell’asino nella sezione superiore del
riquadro, già perduta al tempo della scoperta dei dipinti.
Nel
canonico schema bizantino, l’Annuncio ai pastori è unito alla Natività: così
avviene nell’Oratorio della SS. Trinità a Vallepietra, nella Grotta degli
Angeli a Magliano Romano e in San Pietro in Vineis ad Anagni. A Porta Latina, invece,
ad esso è riservato un intero scomparto, come accade anche a Sant’Urbano alla
Caffarella, nella cassetta eburnea di Farfa, nella formella di Salerno, a San
Pietro in Valle a Ferentillo e a Santa Maria delle Grazie Montis Dominici a
Marcellina. Rispetto a tutti gli esempi esaminati, solo a Porta Latina l’angelo
non è colto ancora in volo e racchiuso nel segmento celeste ma, ormai planato a
terra, sta annunciando ai pastori l’avvenimento. L’atteggiamento della figura
al margine destro della scena ha invece suscitato pareri contrastanti tra gli
studiosi. Unanimemente interpretato quale pastore, esso è stato visto o nell’atto
di cogliere fiori o di suonare uno strumento musicale. A mio parere, il pastore
doveva essere sdraiato, probabilmente dormiente, come indicherebbero – sulla
base delle tavole di Wilpert – la posizione allungata del corpo e quella delle
braccia, la destra piegata probabilmente dietro la testa. Così appare
nell’unico frammento superstite dell’episodio nella successiva abbazia di
Marcellina. La posizione di Manion, che vi vede un pastore intento a suonare un
liuto non è, a mio giudizio, sostenibile; nonostante l’episodio di Porta Latina
presenti indubbie affinità iconografiche con la Cassetta di Farfa, in
quest’ultimo esemplare il pastore-musico, rappresentato alla sinistra del
pannello e in posizione secondaria, presenta una postura maggiormente raccolta
e meno allungata, come diversa è anche la posizione delle braccia destinate a
sostenere lo strumento musicale. Così appare anche il pastore-musico a
Sant’Urbano alla Caffarella. La Crocifissione di Porta Latina, invece, presenta
un’ampiezza doppia rispetto a tutte le altre scene. L’enfasi che gli viene
accordata è riscontrabile solo a San Pietro in Vaticano e, in seguito, a Sant’Urbano alla Caffarella.
Lo schema iconografico risulta particolarmente affine a quello della Cassetta
eburnea di Farfa, anche se in quest’ultimo riquadro sono presenti le due Marie.
Rispetto a tutti i casi analizzati, solo a San Giovanni a Porta Latina è stata
rilevata la presenza delle tavolette lignee.
Sulla
base di questi confronti è possibile stabilire come l’intero programma iconografico,
della navata e del presbiterio, condivida alcune caratteristiche iconografiche
con opere, monumentali e miniate, datate tra la metà dell’XI secolo e la metà
del XII. Si tratta di un repertorio di immagini contemporaneo, visibile in una
serie di opere legate, sia a Roma che al di fuori, all’ambiente della Riforma,
che, come è noto, recuperò schemi iconografici di epoca paleocristiana. Tuttavia,
ed è bene sottolinearlo, alcuni elementi del ciclo di Porta Latina si
configurano quale unicum, non trovando un riscontro diretto nel panorama romano
e laziale di XI-XIII secolo.
*Testo estratto dalle seguenti tesi di laurea magistrale, discusse all'Università degli Studi Roma Tre in data 5/04/2012:
- Serena Di Giovanni, “San Giovanni a Porta Latina: i dipinti murali del
presbiterio” (A. A. 2010/2011);
- Silvia Di Summa, “San Giovanni a Porta Latina: i cicli neo e veterotestamentari
della navata” (A. A. 2010/2011).
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