Ormai è noto: la celeberrima testata di Zidane a
Materazzi nei mondiali del 2006 si è fatta scultura. L’opera bronzea,
realizzata dal franco-algerino Adel Abdessemed, è alta più di cinque metri e sarà esposta
fino al 7 gennaio nella piazza antistante al Centre Pompidou di Parigi. Svariati
ed eterogenei sono stati i commenti da parte dei giornalisti e dei lettori che
si sono interessati alla notizia. Il Sole 24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-09-28/elogio-sconfitta-testata-zidane-145726.shtml?uuid=AbFGT5kG),
ad esempio, intitola il suo pezzo dedicato al famoso “coup de tête”, “Elogio alla
sconfitta. La testata di Zidane a Materazzi si fa monumento” , e rimarca l’ironia dei francesi, inclini una volta tanto a ridere delle proprie disfatte.
Scrive Giuseppe Ceretti, autore del pezzo, che :
“L'autodafè del campione di allora, paragonato
ai tuffi e alle sceneggiate che sempre più caratterizzano i nostri incontri e
al costante tentativo di ingannare gli arbitri, con relative vergognose scene
di giubilo quando la truffa va a segno, restituisce
il calcio a una dimensione popolare, ma spontanea e senza secondi fini. Il coup de tête è un atto
altamente riprovevole, ma resta un grave errore che si paga in proprio e riporta tutti noi, dai campioni sino ai
brocchi dei campetti, alla terrena dimensione dell'istintiva reazione al
fallo che ti manda a gambe levate e per il quale non c'è bisogno di nessuna
prova tv”.
Il giornalista si sofferma soprattutto sull’aspetto
“calcistico” della questione, ignorando quasi completamente il problema dell’attribuzione
di un valore artistico a un’opera che, seppure controversa, ha trovato comunque
collocazione davanti al Centre Pompidou, noto museo di arte moderna e
contemporanea di Parigi. E se Il Messaggero (http://www.ilmessaggero.it/sport/calcio/parigi_zidane_materazzi_testata_italia/notizie/221846.shtml)
dedica all'episodio poco meno di dieci righe, altre testate giornalistiche, più o meno conosciute,
si interrogano sull’effettiva qualità di un’opera da molti definita “non certo
un capolavoro”, ma il cui originale, lo ricordiamo, è stato esposto alla
galleria David Zwirner di New York a inizio 2012, in occasione della mostra
‘Qui a peur du grand méchant loup ?’ (Chi ha paura del lupo cattivo?). Del
resto, proprio al Centre Pompidou sarà presto dedicata ad Adel Abdessemed una
retrospettiva con esposti video, foto, sculture, disegni e installazioni ispirati alla violenza nel mondo.
La rassegna, prevista dal 3 ottobre al 7 gennaio, mostrerà al pubblico la personale ricerca del franco-algerino, principalmente influenzata “by the disaster of contemporary history”. Dal 2000, quando compare nella scena artistica, Adel Abdessemed predilige, infatti, un linguaggio figurativo in grado di esprimere le violenze del mondo contemporaneo, con la pretesa “di toccare il reale”, senza però rappresentarlo. Realizza quindi opere come Practice Zero Tolerance (2006), un calco in terracotta di un’automobile vandalizzata durante le rivolte del 2005 nelle banlieue francesi, che, oltre ad alludere alla politica “di tolleranza zero” messa in atto dall’Europa e dagli Stati Uniti, suggerisce tensioni psicologiche ben più profonde. In questa e in altre realizzazioni l’artista raccoglie i segni di violenza manifesti nel mondo per trasformali in sintagmi cosmici; parte dal reale per trasfigurarlo, stilizzarlo o “mitizzarlo” in forme che rimangono nella memoria collettiva. La sua attività:
La rassegna, prevista dal 3 ottobre al 7 gennaio, mostrerà al pubblico la personale ricerca del franco-algerino, principalmente influenzata “by the disaster of contemporary history”. Dal 2000, quando compare nella scena artistica, Adel Abdessemed predilige, infatti, un linguaggio figurativo in grado di esprimere le violenze del mondo contemporaneo, con la pretesa “di toccare il reale”, senza però rappresentarlo. Realizza quindi opere come Practice Zero Tolerance (2006), un calco in terracotta di un’automobile vandalizzata durante le rivolte del 2005 nelle banlieue francesi, che, oltre ad alludere alla politica “di tolleranza zero” messa in atto dall’Europa e dagli Stati Uniti, suggerisce tensioni psicologiche ben più profonde. In questa e in altre realizzazioni l’artista raccoglie i segni di violenza manifesti nel mondo per trasformali in sintagmi cosmici; parte dal reale per trasfigurarlo, stilizzarlo o “mitizzarlo” in forme che rimangono nella memoria collettiva. La sua attività:
“is deployed like an ornament, drawing circuits whose meaning and
orientation are revealed only in a system of symmetrical or asymmetrical
repetitions, variations and inflexions. His works are full of complex
references that cannot be regarded as strictly contemporaneous: references to
minimalism, to the Wall Drawings of Sol LeWitt or more distantly, to Géricault,
to the tragic and burlesque pessimism of Goya or to Mathias Grünewald by which
Abdessemed was very explicitly inspired in the four Christ de Décor. Lastly,
Adel Abdessemed's pieces are borne by a dreamlike power. In the same way as, in
Freudian theory, the previous day provides the sleeper with the material for his
dream, – what Freud calls "the day of the dream" – the present
provides Abdessemed with the material for his pieces, which will then undergo a
process of transformation”
(http://www.centrepompidou.fr/Pompidou/Manifs.nsf/AllExpositions/4C29FAA5AB80502EC1257A170045A45B?OpenDocument&sessionM=2.2.2&L=2).
(http://www.centrepompidou.fr/Pompidou/Manifs.nsf/AllExpositions/4C29FAA5AB80502EC1257A170045A45B?OpenDocument&sessionM=2.2.2&L=2).
Quale simbolo della violenza fisica e verbale nel mondo calcistico, cui ormai siamo purtroppo assuefatti, anche Le «coup de tête» de Zinedine Zidane
meriterebbe forse, alla luce di quanto esposto, una maggiore considerazione di quella che
finora ha ricevuto dai media e dal pubblico (http://www.globartmag.com/2012/09/27/adel-abdessemed-statua-testata-zidane-materazzi-mondiali-parigi/). Il deprecabile gesto di Zidane è qui tradotto,
infatti, in un’opera quasi “epica” e “mitologica”, che nella sua imponenza fisica
ricorda alcuni dei più grandi capolavori rinascimentali, manieristi e barocchi, mentre nella maschera dal volto deformato e caricato di Materazzi rievoca da vicino la
ferocia di alcuni dipinti dello spagnolo Francisco Goya (vedi Saturno divora i suoi figli , 1823, al
Prado di Madrid), tra i pittori preferiti dal franco-algerino.
F. Goya, Saturno divora i suoi figli, 1823, Madrid, Museo del Prado. |
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