Difficilmente un’artista mi colpisce come
KUMI Yamashita, giapponese che realizza ritratti utilizzando chiodi e
filo. Le si potrebbe obiettare un’eccessiva tendenza al ‘naturalismo’, alla
‘tradizione’, in un momento storico in cui il mondo dell’arte è alla ricerca
perpetua dell’idea ‘originale’, stravagante,
ironica, bizzarra, a svantaggio, in molti casi, dell’idea del ‘bello’, per
dirla con Platone. Ma osservando le sue istallazioni si capisce subito che
siamo di fronte a un’artista a ‘tutto tondo’ , che unisce e fonde insieme
componenti variegate: la creatività e l’unicità dell’idea con l’abilità tecnica
che ci vuole per realizzarla, senza rinunciare al godimento estetico
dell’oggetto così concepito.
Dalle origini semplici, KUMI Yamashita ci
invita a rivalutare il rapporto imprevedibile tra ciò che ci aspettiamo di
vedere e la nostra percezione attuale. Gran parte delle sue opere è data dalle
cose di uso quotidiano (filo, chiodi, carte di credito). Singoli frammenti
collegati insieme possono creare un’ombra, e un semplice pezzo di carta può
determinare una varietà infinita di profili. I materiali prescelti, i media utilizzati,
vanno oltre i confini tradizionali. Impronte su un foglio compongono una
faccia; un singolo filo costruisce, attraverso i chiodi, un ritratto
sottilmente modulato. Con grande attenzione ai dettagli, le opere di Yamashita
sono complesse e precise, senza perdere però quell’elemento di umanità che le contraddistingue.
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