La basilica di San Giovanni a Porta Latina a Roma
Serena Di Giovanni, Silvia Di Summa
(estratto delle
tesi di laurea magistrale: “San Giovanni a Porta Latina: i dipinti murali del
presbiterio”; “San Giovanni a Porta Latina: i cicli neo e veterotestamentari
della navata”. A. A. 2010/2011)
1.1
Cenni storici
La chiesa di San Giovanni a Porta Latina sorge sul Celio,
presso la via Latina, non lontano dalla porta omonima della cinta aureliana.
Essa è contigua alla cappella di San Giovanni in Oleo, prima memoria eretta a
Giovanni Evangelista su un presunto tempio dedicato a Diana, considerata per
lungo tempo il luogo dello scampato martirio dell’apostolo.
Le notizie sulla vita e la morte di Giovanni, apostolo ed
evangelista sono varie e, a volte, contraddittorie. Papia di Ierapoli (70-130
ca.) narra del suo martirio avvenuto, assieme al fratello Giacomo, per mano dei
giudei. Policrate di Efeso (130-196 ca.), invece, in un frammento di
un’epistola a papa Vittore I (189-199), riferisce della sua sepoltura a Efeso.
È Tertulliano (II-III sec. d.C.) a fornire, tuttavia, una prima testimonianza
dello scampato supplizio del santo, avvenuto intorno al 92 d.C.: «[…] ubi
apostolus Iohannes posteaquam in oleum igneum demersus nihil passus est, in
insulam relegatur». Secondo Girolamo (347-420 ca.) l’evento si sarebbe compiuto
sotto Nerone (54-68), come si evince dall’Adversus Iovinianum (I 26) e dal
commento a Matteo (ad 20, 23), composti fra il 393 e il 398. Ulteriori
precisazioni a riguardo compaiono nei martirologi di VII-IX secolo, quali
l’Adone di Vienna e i martirologi di Floro e di Vetus.
La chiesa fu forse edificata sotto papa Gelasio I (492-496),
come proverebbero i bolli doliari di Teoderico (495-526) rinvenuti durante gli
scavi novecenteschi. Il Liber
Pontificalis riporta anche un suo successivo rifacimento, avviato da
Adriano I (772-795): «…ecclesiam beati Johannis Baptiste sitam iuxta portam
Latinam ruinis praeventam in omnibus noviter renovavit». Al tempo di Adriano I
rimonta, con ogni probabilità, l’iscrizione visibile sul pozzo di fronte
all’edificio «ego stephanus in nomine pat. et filii esp… i», mentre alla prima
metà dell’XI secolo risale la notizia di una comunità di sacerdoti presente
all’interno del complesso, promotrice di una vasta opera di riforma e
caratterizzata da una vita di intensa spiritualità, povertà e obbedienza. Fra
XI e XII secolo, la chiesa divenne luogo d’incontro di personaggi di primo
piano nel progetto di riforma della Chiesa, come Benedetto IX (1032-1044),
Gregorio VI (1033-1049), Bartolomeo abate di Grottaferrata, Lorenzo di Amalfi,
Odilone di Cluny e Ildebrando di Soana. Sotto Celestino III (1191-1198) ebbe
inoltre una nuova dedicazione, testimoniata dall’iscrizione un tempo murata in
controfacciata e ora collocata sul fronte di un moderno leggio.
Allo scadere dell’XI secolo San Giovanni a Porta Latina è
attestata come un’importante stazione liturgica delle celebrazioni del sabato
precedente la Domenica
delle Palme, che avevano luogo in San Giovanni in Laterano. Sebbene Gaetano
Moroni, fonte di XIX secolo, supporti l’ipotesi secondo cui Gregorio I
(590-604) avesse qui stabilito la stazione liturgica del sabato della Passione,
per la stazione di Porta Latina appare arduo individuare un momento cronologico
anteriore all’XI secolo. È però necessario ricordare che anche durante la cattività
avignonese (1309) e il conseguente progressivo abbandono della città, la chiesa
e il contiguo oratorio rimasero per molto tempo meta di pellegrinaggi. È
inoltre plausibile ipotizzare che, fra XI e XIII secolo, un convento femminile
benedettino fu annesso alla chiesa. Citato nel catalogo di Cencio Camerario del
1192, il monastero sarebbe esistito fino al pontificato di papa Bonifacio VIII (1299-1303).
Quando quest’ultimo concesse la basilica lateranense al clero secolare, anche
San Giovanni a Porta Latina dovette seguire le vicende della basilica madre. I
beni, entrati a far parte del Capitolo Lateranense, si dileguarono e la
comunità religiosa venne a trovarsi senza alcun reddito. Ne fu conseguenza il
ritiro dei Canonici e l’abbandono del tempio. Solo nei primi decenni del XIV
secolo vi si insediarono i Padri Clareni: ricordati dal Catalogo di Torino
(1320 ca.), essi rimasero nella basilica fino al 1473, quando si trasferirono a
San Girolamo della Carità. Il 15 gennaio 14 96 il Capitolo Lateranense concesse la
custodia della chiesa agli Eremitani di Sant’Agostino, che vi rimasero però
solo pochi anni.
Diverse sono state le Congregazioni religiose che si sono
alternate nella gestione della chiesa, spesso abbandonata a causa sia della sua
posizione in aperta campagna, sia delle ristrettezze economiche a cui era
sottoposta. Per questo motivo, quando anche l’ultima comunità religiosa venne
meno, il Capitolo decise di incaricare un canonico, scelto tra i suoi membri,
allo scopo di provvedere a tutte le necessità della chiesa, senza ricevere
altri emolumenti. Questi canonici, detti ‘Difensori’ o abati commendatari, si
susseguirono nella cura della basilica e dei suoi annessi per oltre un secolo e
mezzo, utilizzando le loro sostanze per il suo sostentamento. La sua custodia
diretta fu così affidata ai padri eremiti, che avevano la facoltà di
raccogliere le elemosine dei fedeli e di «questuare il quanto occorreva al
proprio mantenimento», con l’obbligo di pernottare nei locali annessi alla
basilica, e di farvi celebrare le messe festive a proprie spese.
Nel 1703, i Padri Mercedari Scalzi ottennero dal Capitolo
lateranense l’uso della chiesa e del convento; ma non essendo quest’ultimo
abitabile per le sue cattive condizioni, si provvide a lavori di restauro e
ampliamento. Nel 1729, ottenuta la chiesa in enfiteusi perpetua, ai Padri
Mercedari succedevano i Padri Minimi di San Francesco da Paola. Questi
avviarono l’edificazione di una fabbrica su via Latina, ma le forti spese e la
zona malarica li costrinsero a spostare altrove il noviziato e ad affittare i
locali per far fronte ai debiti contratti. Le condizioni dell’edificio
andarono gradatamente peggiorando fino a quando i Padri Minimi, nel 1798,
furono cacciati e dispersi dai francesi, e i locali, ormai cadenti, dati ai
custodi della Porta. La chiesa minacciò allora di essere completamente
spogliata di tutti gli arredi e le suppellettili e fu salvata solo grazie
all’abilità e all’astuzia del vignaiolo, che versò di suo undici piastre ai
soldati francesi. In quel periodo Porta Latina fu chiusa, con gravi conseguenze
per la chiesa e per la zona, malsicura e spesso anche rifugio di scandali e
nequizie. Il convento divenne così ospizio di pellegrini, alloggio di truppe di
passaggio, più tardi deposito di lana e perfino essiccatoio di pelli per un
beccaio.
Nel 1830, date le cattive condizioni della basilica e del
convento, i Padri rinunciarono definitivamente a ogni diritto sul complesso e,
nel 1859, su sentenza del tribunale, anche il convento passò in possesso del
Capitolo lateranense.
Nel 1876 la cura della chiesa fu affidata ai Terziari
francescani di Albì, che dovettero però allontanarsi a causa della malaria. Nel
1905 le suore della Ss. Annunziata, dette Turchine, entrarono in possesso del
convento e vi fondarono un monastero di clausura, venendo tuttavia allontanate
alla fine degli anni Trenta, quando l’estendersi ormai crescente della città
rese necessario un servizio religioso regolare.
Dal 1937 subentrarono i PP. Rosminiani che, acquistato il
convento, vi stabilirono il Collegio Missionario ‘Antonio Rosmini’, ancora oggi
qui ubicato.
1.2
L’edificio
L’edificio si apre di fronte a una piazza, il cui asse
centrale corre da nord-ovest a sud-est, parallelo alla via Latina. Anticamente,
l’area circostante era scarsamente abitata e poche tracce di tombe romane,
anteriori alla costruzione delle Mura Aureliane, sono state rinvenute ai lati
dell’omonima strada. La facciata è preceduta da un portico, sostenuto da cinque
archi poggianti su due pilastri rastremati alle estremità laterali e su quattro
colonne, che presentano basi, fusti e capitelli prelevati da antichi edifici.
L’ampia fronte del portico si conclude con un alto attico e un fregio a mensola
su cui si imposta direttamente la copertura. Un ampio portale cosmatesco, dal
fregio intarsiato a porfido rosso e verde, consente l’accesso alla navata
centrale. Originariamente due ulteriori aperture di minori dimensioni
garantivano l’entrata all’interno della chiesa. Alla sua sinistra è situato il
pozzo, fiancheggiato da due colonne con capitelli a foglie stilizzate e di
piccole dimensioni, databili alla fine del V secolo. Appartiene, probabilmente,
all’epoca di papa Adriano I (772-795) la margella dello stesso, dalla forma
troncoconica e dal corpo decorato da un albero della vita, dal cui fusto
centrale si dipartono due serie sovrapposte di racemi e nelle cui volute si
dispongono fiori a petali ruotanti. Sul margine corre la scritta: in nomine
pa(tri) et filii spi (ritus sant) i/omnes sitie (ntes venites ad aquas)/Ego
Stefanus; il verso riporta le parole del profeta Isaia (55, 1): o voi tutti
assetati, venite all’acqua. Sul lato sinistro del portico, e in stretta
correlazione con esso, si innalza l’alta torre campanaria, variamente datata
fra gli inizi dell’XI –XII secolo.
Di forma quadrata essa mostra cinque piani di
finestre, monofore nel piano inferiore, bifore con pilastro mediano al livello
successivo e trifore colonnate negli ultimi tre piani.
L’interno dell’edificio è diviso in tre navate da due file di
cinque colonne, in parte di reimpiego, sulle quali poggiano archi
semicircolari. La navata centrale, alta 10,07 m . e larga 7,5 m ., conclusa da un corto
e oblungo avancoro e da un’abside, è ricoperta, come le navate, da un tetto a
travi scoperte. Piccole finestre arcuate si aprono sopra le arcate e nella
parete della facciata, dove sono chiuse da transenne marmoree. Anche le navate
minori prendono luce da piccole finestre a semicerchio, ma le prime due campate
di quella destra, confinanti con gli edifici del monastero, sono prive di
aperture. La parte terminale della chiesa è costituita da un coro tripartito –
frequente fra V e VI secolo a Ravenna, a Bisanzio e nelle regioni limitrofe –
con avancorpi, in comunicazione con le navate mediante aperture ad arco.
L’abside principale, dotata su ogni lato di un’apertura a tutto sesto e chiusa
da lastre di onice giallo miele, si presenta semicircolare all’interno e
poligonale all’esterno, formata dai tre lati di un esagono. Le navate minori
terminano con due vani, i pastoforii,
nei quali si aprono due piccole absidi; esse sono semicircolari, prive di
finestre e addossate perpendicolarmente al muro di chiusura delle navate
minori. Secondo Krautheimer i locali laterali, uno dei quali forse
originariamente adibito a contenere il fonte battesimale, andrebbero ricondotti
alle chiese cristiane d’Oriente.
La cronologia della basilica è ancora oggi molto dibattuta,
avendo l’individuazione e la conseguente datazione delle sue diverse strutture
murarie determinato pareri contrastanti tra gli studiosi. Krautheimer riconobbe
nell’edificio due diversi tipi di muratura, che datò al V-VI secolo e al XII
secolo. Matthiae, invece, fra il livello pavimentale paleocristiano e quello
attuale di XII secolo, individuò uno stadio intermedio, che ascrisse alla fase
edilizia di Adriano I (772-795). Di recente Claussen ha datato la parete
laterale nord del portico, le navate con le relative arcate e la parete
occidentale dell’edificio – di apparente muratura paleocristiana – alla fine
dell’XI secolo. È dunque plausibile
collegare il rifacimento architettonico di epoca romanica a un momento
precedente la nuova dedicazione di Celestino III (1191-1198), verosimilmente
compreso fra la fine dell’XI secolo (Claussen) e la prima metà del XII secolo.
Per Parlato e Romano appare ragionevole congiungere l’avvio della nuova
campagna edilizia al 1144, momento di passaggio di San Giovanni a Porta Latina
al Capitolo lateranense. Schumacher e Sartori hanno tuttavia rilevato come la
data del 1191 debba essere considerata unicamente quale testimonianza della
riconsacrazione dell’altare, a seguito della sostituzione delle reliquie
dell’Evangelista, passate al Sancta Sanctorum, con quelle dei santi Gordiano ed
Epimaco, giunte a San Giovanni dal vicino ed eponimo cimitero di via Latina. La
piccola targa marmorea disposta sotto l’altare maggiore, con i nomi dei martiri
in caratteri epigrafici del tempo, rinvenuta durante gli scavi del 1915, sembra
consolidare tale ipotesi. L’epigrafe di Celestino III, infatti, menziona il 10
maggio, anniversario del martirio dei due santi, e non il 6, data
dell’Evangelista. Anche Orietta Sartori ritiene improbabile ancorare massicci lavori
di ricostruzione ai decenni precedenti il 1191. L’epoca di maggiore fortuna
dell’edificio può infatti considerarsi conclusa già alla metà del secolo;
inoltre la chiesa, intorno al 1170, risultava funzionante per la tradizionale
festività della stazione pasquale ivi celebrata.
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