Alla
fine degli anni Venti del Novecento cominciò a svilupparsi ciò che Denys Riout,
a ragione, definì la ‘seduzione del reale’. Con i papier collé cubisti, frammenti della realtà entravano all’interno
delle opere. La realtà faceva irruzione nella finzione e la finzione si fingeva
reale. La battaglia iniziata da Braque e, in particolare, dalla Natura morta con sedia impagliata di
Picasso era giunta a compimento. Da quel momento, si gettarono le basi per una
rivoluzione artistica in rottura con l’idea di rappresentazione.
Invece di
rappresentare la forme del mondo, l’opera plastica si elabora a partire dai
frammenti direttamente prelevati dalla trama del reale[1].
Nacque il collage e, con esso, il ricorso a materiali eterogenei, l’impiego
dei ritagli tipografici nella produzione artistica, tanto cari ai dadaisti e
allo stesso John Heartfield. Se le finalità potevano e dovevano essere
differenti, medesimo era il procedimento, fondato sull’assemblaggio casuale o
voluto dei diversi frammenti delle ‘cose’. Ulteriore variante dei collages, i fotomontaggi – o, meglio
ancora, i photocollages -
utilizzavano materiali capaci di intrattenere un particolare rapporto con
l’elemento reale. La catastrofe umana e le incertezze politiche alla fine del
conflitto mondiale giocarono, a questo scopo, un ruolo decisivo. Gli artisti
erano alla ricerca di nuove ambizioni. La pittura e le arti dovevano sottoporsi
a un cambiamento radicale. A Berlino, nel dopoguerra, i fotomontaggi ebbero un grande
potere di propaganda, basato sulla
credibilità del materiale utilizzato[2].
Giocando col fuoco della realtà
(Aragon), la carica emotiva e l’immediata efficacia visiva delle immagini manipolate,
Heartfield mise a punto un’arte rivoluzionaria, sovversiva e antinazista.
Contemporaneamente, anche in Russia Aleksandr Rodčenko e El (Lazar) Markovič
Lissitzky concepirono creazioni di forte impatto plastico e dall’azione
militante[3]
(fig.1). I procedimenti di associazione e di montaggio interessarono anche il
fotografo costruttivista ungherese László Moholy –Nagy che nel 1925, in Pittura Fotografia Film, manifesto teorico della fotografia
contemporanea, mostrava la propria fiducia nell’avvenire delle fotoplastiche, definite:
un metodo sperimentale di rappresentazione
simultanea; una compenetrazione condensata di gioco visuale e verbale.
Inquietante unione che attinge all’immaginario, realizzata dalla strumento
imitativo più reale[4].
Per Moholy–Nagy esse potevano
essere allo stesso tempo narrative,
palpabili; più vere ‘della vita
stessa’[5].
Il montaggio di immagini era, secondo il fotografo, lo strumento più efficace
per abbracciare la nuova cultura dello sguardo e della realtà. In Pittura
Fotografia Film la fotoplastica
appariva distinta sia dal fotomontaggio dada, sia dallo strumento politico e
propagandistico utilizzato dai costruttivisti russi Rodčenko e Klucis, per un
ordine formale più chiaro e strutturato. Eppure, non mancava in essa una
dimensione politica, di critica sociale (fig. 2), che accomuna l’esperienza
creativa del fotografo ungherese a quella dell’artista politicamente impegnato
Heartfield. E venendo all’argomento precipuo di questo contributo, è opportuno
evidenziare che la tecnica del montaggio utilizzata dall’ex Monteurdada pone agli occhi del critico di
oggi e di ieri una serie di quesiti e di riflessioni sulle relazioni che, a
partire dagli anni Venti del Novecento, si strinsero in Germania tra
avanguardia estetica e avanguardia politica, tra emancipazione culturale ed
emancipazione politica[6].
1. Aleksander Rodčenko, Impara l'uso del fucile, 1931.
2.
László
Moholy–Nagy, Militarismo, 1924.
●
Nella sua teoria artistica, il
critico Carl Einstein difese strenuamente quella parte di avanguardia che si
era battuta per salvare un’arte politicamente e socialmente impegnata.
Rigettando l’idea di un ductus
meramente realistico, una concezione dell’arte tesa a stabilire l’assoluta
coincidenza tra rappresentazione e oggetto rappresentato, Einstein concluse che
l’avanguardia, una volta separata dal suo vero destinatario - il popolo e le
masse - si era fatta espressione della situazione sociale ed economica degli
intellettuali in una società capitalistica avanzata, senza tuttavia muovere
davvero lo spettatore alla ‘rivoluzione’. In altri termini il critico, pensando
agli intellettuali in lotta per liberare l’umanità dalle rovine del sistema di
valori weimariano, in particolare agli espressionisti della Novembergruppe, ne criticava il
linguaggio, ricco di metafore e pertanto inefficiente a trasmettere un
messaggio chiaro e concreto. Le fratture e le contraddizioni della società
potevano essere evidenziate solo attraverso un mezzo formale ‘aperto e attivo’,
come la fotografia. Di qui la grande intuizione di Einstein: un’arte impegnata
che miri a suscitare l’azione politica è in violenta contraddizione con un
linguaggio ermetico, metaforico e metafisico.
Fu Tretjakov a introdurre per la
prima volta la nozione di ‘artista politicamente attivo’, con il compito di stimolare
la fantasia e la coscienza dell’osservatore, spesso spettatore passivo
dell’opera d’arte. In questo modo, la creazione artistica cessava di avere un
valore meramente pedagogico e didattico e finiva per diventare rivoluzionaria. Obiettivo, questo,
condiviso sia dal Costruttivismo sovietico, sia dal Realismo sociale, due
approcci diversi, ma uniti – sotto la Repubblica di Weimar – dalla fuite hors des contraintes du rêve, de
l’utopie, du cynisme et de la protestation aveugle afin d’assumer des responsabilités
sociales[7].
Attraverso l’uso del manifesto, i costruttivisti oltrepassarono la fase della
semplice distruzione delle forme per demolire l’edificio della società
capitalistica e indirizzarsi verso un’umanità universale. Anche i realisti
furono partigiani dell’espressione estatica, beffeggiarono il filisteo e lo
posero di fronte a uno specchio, che gli fece osservare sa face grotesque[8].
Tuttavia, agli occhi del critico entrambi i linguaggi si dimostrarono
insufficienti. Se, infatti, il Realismo sociale, rimanendo estraneo a ogni tipo
di intento rivoluzionario, si contentava di riprodurre le condizioni mediocri
di una realtà miserabile, il linguaggio dei costruttivisti, ambivalente e
difficilmente decifrabile, esigeva une
conscience de classe hautement développée, qu’un art qui se veut politique
devrait commencer par développer en chacun[9].
●
L’arte impegnata ha una
responsabilità sociale, ha l’obiettivo di immaginare e di progettare un nuovo
mondo, di denunciare le contraddizioni della società e, contemporaneamente,
affrontare le tematiche più urgenti: la guerra, le ingiustizie sociali, lo
sfruttamento e il riscatto delle classi emarginate. Dal Realismo di impegno
sociale di messicani e americani, al Costruttivismo, al Cubofuturismo e al
Realismo socialista dei sovietici, scelte linguistiche disomogenee, pluralità
di opposizioni e di valutazioni risposero a tale unico fine. Fra queste,
l’esperienza degli atelier sovietici,
nati intorno al 1918, fu oltremodo decisiva per la formazione di un indirizzo che
fosse al servizio della società, basato sul principio del superamento didattico
della divisione tra arti figurative applicate, meglio ancora tra arte, tecnica
e scienze, condiviso anche dalla Bauhaus. A seguito dello scioglimento delle
vecchie accademie, nell’ex Unione Sovietica nacquero i Liberi atelier statali,
detti Svomas, tra i quali vanno
quantomeno ricordati i Collegi per l’arte e l’industria artistica di
Pietrogrado e di Mosca, dove insegnarono Kandinskij, Malevič, Tatlin e
Rodčenko. Nel dopoguerra, i contatti tra l’arte sovietica e tedesca furono
sempre più frequenti e, fra il 1920 e il 1928, Berlino divenne progressivamente
un centro internazionale di propagazione centripeta e centrifuga dell’esperienza
artistica est-europea. In questi anni, infatti, grazie alla forte presenza
russa e al cosmopolitismo della capitale, l’influenza della Germania si estese
oltre le frontiere geografiche del paese, fino a comprendere gran parte dell’Europa
orientale: l’Urss, l’Ungheria, la Romania, la Polonia e l’attuale Repubblica
Ceca, ex Cecoslovacchia. Berlino divenne un luogo in cui scrittori e artisti
rivoluzionari, immigrati russi, ungheresi e polacchi, poterono confrontare le
loro creazioni, non prive di punti in comune: un’ideologia di sinistra,
l’opposizione alla guerra, lo spirito di una nuova, imminente rivoluzione. I
punti di incontro, le reti che permisero in Germania il processo di simbiosi
tra le differenti culture artistiche dell’est e dell’ovest europeo, furono gli
atelier, i caffè, i manifesti, i congressi, le conferenze, le gallerie, le
esposizioni, le pubblicazioni, le riviste, i libri e, non ultima, l’attività
dei critici d’arte. I rapporti internazionali si concretizzarono anche
attraverso la realizzazione di manifesti redatti in comune e mediante varie
occasioni di incontro. Gli artisti di sinistra vollero collaborare, trovare una
sintesi e, al tempo stesso, difendere la loro autonomia. Lissitzky, in
particolare, si convinse che l’arte nuova
non fosse soggettiva, ma si
appoggiasse a una base generale che può
essere scientificamente definita e che è di natura costruttiva… L’artista, competente, e l’ingegnere sono i
fratelli del lavoratore[10].
Una serie di mostre e manifestazioni organizzate a Berlino e a Mosca tra il
1919 e il 1924, legò gli artisti dell’Europa dell’est e dell’ovest: dalla Grosse Berliner Kunstausstellung, alla Frei Secession e, ancora, alla Berliner Kunstausstellung, nella quale
Lissitzky organizzò una sala prouns
dallo spirito costruttivista. Oltre alla Berliner
Kunstausstellung, altrettanto importante fu l’esposizione sull’arte tedesca
organizzata a Mosca nel 1924, che sancì il ruolo di Berlino come centro
internazionale per gli artisti di sinistra. Nel 1926, infine, fu organizzata la
Grosse Berliner Kunstausstellung,
Ausstellung der Abstrakten, considerata l’ultima manifestazione delle
tendenze d’avanguardia europee. D’altra parte, riviste come Cicerone, Kunst Blatt, Ararat, Jahrbuch der
Jungen Kunst, Rote Fahne, De Stijl, MA, Zenit e Blok, contribuirono - sia in Germania, sia all’estero - a cementare i legami tra i diversi movimenti
artistici e a diffondere nuove idee[11].
Negli anni Trenta, tuttavia, i contatti reciproci tra l’ambiente tedesco e
russo – alimentati dagli spostamenti di artisti e docenti – furono bruscamente
interrotti a causa del Nazismo e dello Stalinismo, sostenitori di un’arte
realista, accademica e accentrata nelle mani del governo, dai forti contenuti
ideologici e propagandistici[12].
●
Personaggi come Lissitzky
realizzarono un ponte tra l’arte sovietica e quella tedesca. Attivo a Berlino
intorno al secondo decennio del XX secolo, egli frequentò gli esponenti delle
avanguardie tedesche, compreso Moholy-Nagy, e collaborò al periodico De Stijl e al gruppo di architetti
costruttivisti ABC. I suoi
fotomontaggi furono un mezzo di propaganda dell’ideologia sovietica, fondato
sull’accostamento e sull’associazione di parole e di immagini (fig.3). Parole
che nei suoi manifesti politici, seguendo schemi compositivi geometrici di
ascendenza suprematista, si univano a elementi fotografici, collegando
l’immediata leggibilità della figurazione all’impersonalità figlia della nuova
concezione dell’arte, sempre più strumento meccanico ai fini propagandistici.
3.
El Lissitzky, Il Costruttore, 1925.
Rodčenko,
Lissitzky e gli altri artisti costruttivisti si dedicarono anche alla
rappresentazione degli eventi e dei personaggi importanti del comunismo
sovietico. Il primo maggio, le campagne di guerra e la costruzione delle
infrastrutture furono solo alcuni dei numerosi soggetti trattati nei loro
montaggi, realizzati per esaltare l’ideale utopico rivoluzionario.
Vladimir Evgrafovič Tatlin e Rodčenko diedero vita al Costruttivismo. Lo
sguardo gettato al Futurismo, i due si convinsero della possibilità di
edificare una nuova società attraverso il diniego dell’arte del passato, contrapposta
a una nuova visione estetica, basata sul progresso della scienza e della
tecnica. Nel dibattito nato all’interno del gruppo tra formalisti e
produttivisti, Tatlin si schierò infatti a favore dei secondi, sottolineando la
necessità di un’arte politicamente impegnata e tesa alla progettazione e alla
realizzazione concreta del pensiero sovietico. Una concezione, questa,
approvata anche dal produttivista Rodčenko – che studiò le applicazioni
pratiche dello strumento artistico sulla vita di tutti i giorni, utilizzando
nuovi mezzi di comunicazione, dalla grafica pubblicitaria al design, dalla
fotografia al cinema – e dagli intellettuali del Realismo socialista di Stalin,
con i quali l’arte divenne strumento di propaganda al servizio del partito
comunista. Tra queste due strade, apparentemente antitetiche, s’inserisce la
via intrapresa da Heartfield con il fotomontaggio, posta esattamente a metà tra
i due orientamenti culturali. Con i costruttivisti, Heartfield condivise in
particolare l’idea di un’arte funzionale destinata alle masse[13].
Nel 1920 il Monteurdada, direttore
dei progetti tipografici della Malik-Verlag, disegnatore di scenografie e
produttore di film di propaganda, aveva partecipato alla Internationale Dada Messe e si era avvicinato al Costruttivismo,
come dimostra una fotografia nella quale, accanto a Grosz e alla loro scultura,
egli sorregge un manifesto con su scritto Die
Kunst ist tot. Es lebe die neue Maschinenkunst Tatlins[14].
I fratelli Herzfeld e Grosz erano in sintonia. A dimostrarlo, L’arte è in pericolo, un testo
pubblicato nel 1925 dalla Der Malik Verlag, nel quale l’ex Propagandada e Wieland Herzfelde, fratello di John, avevano
precisato:
Il compasso e la
riga hanno scacciato l’anima e le speculazioni metafisiche. Sono arrivati i
costruttivisti. Essi vedono con maggiore chiarezza nel nostro tempo, non si
rifugiano nella metafisica. I loro fini sono liberi da pregiudizi antiquati,
ormai andati in rovina. Vogliono oggettività, vogliono lavorare per bisogni
reali, vogliono di nuovo, nella produzione artistica, uno scopo controllabile.
Nella pratica, purtroppo, i costruttivisti hanno un difetto: non conseguono il loro
scopo perché si ostinano, per lo più, a rimanere nella sfera della operazione
artistica. Dimenticano, di solito, che c’è un solo tipo di costruttivista:
l’ingegnere, il capomastro, l’operaio metallurgico, il falegname, insomma il
tecnico. […]
in Russia questo romanticismo
costruttivista ha un senso ancora più profondo ed è in effetti condizionato
socialmente molto più che in Europa occidentale. Là il costruttivismo è in
parte il naturale riflesso della poderosa offensiva macchinista legata
all’industrializzazione. […] la forza
suggestiva dell’estetica macchinista, i misteri della tecnica al confine, per i
profani, con meraviglie celesti, diventano punti di contatto con le masse che
reagiscono più col sentimento che con l’intelletto. L’artista è – forse inconsapevolmente
– mediatore e propagandista dell’idea di sviluppo industriale[15].
Opere come Der Monteur Heartfield o
Tatlinesque diagram suggellano l’assimilazione del nuovo indirizzo da parte
degli artisti dadaisti. Fra questi, Heartfield mosse la sua ricerca nel
superamento del vuoto generato dalla pratica costruttivista evidenziato da
Grosz ed Herzfelde. Un vuoto colmabile solo attraverso l’asservimento del mezzo
estetico a scopi che lo trascendono. Passando per l’arte sociale del
costruttivista dadaista, l’avanguardia russa ha certamente spianato, preparato,
il terreno verso un realismo al servizio della causa rivoluzionaria. Ma il
linguaggio adottato dai vari Lissitzky e Moholy-Nagy non è bastato a trovare un
nuovo punto di contatto con le masse, che reagiscono empaticamente e, spesso,
passivamente alla creazione artistica. Come già accennato, tale punto di
contatto può essere raggiunto solo se l’arte cessa di essere autoreferenziale, e rinuncia a essere definita tale trasformandosi in uno strumento
di comunicazione di massa. Per personaggi come Grosz ed Heartfield, l’artista
non è più un creatore di forme e colori[16]:
egli potrà solo scegliere fra tecnica e propaganda per la lotta di classe. E, in entrambi i casi, dovrà rinunciare all’arte pura. L’architetto, l’ingegnere, il
disegnatore pubblicitario, il propagandista e il difensore dell’idea
rivoluzionaria in lotta per una riorganizzazione sociale condivideranno, in
questo senso, lo stesso destino.
●
Ed ecco che emerge un punto di
contatto con il Realismo socialista sovietico e, in particolare, un
collegamento con l’attività filmica del regista e teorico russo Sergej
Ejzenštejn[17]. Tra
Heartfield ed Ejzenštejn, infatti, può essere rintracciata una coincidenza di
presupposti etico-estetico-ideologici. Nel ricco humus della cultura figurativa che, a metà degli anni Venti del
Novecento, aveva abbracciato la Repubblica di Weimar e l’Unione Sovietica,
entrambi furono mossi da un grande desiderio di sperimentalismo, dalla ricerca
di una forma artistica adeguata a esprimere la nuova situazione storica. Essi condivisero
la stessa missione sociale: palesare le
contraddizioni dell’esistente raccordando i diversi momenti del reale[18].
Secondo Ejzenštejn e il suo concetto di ex-stasis
occorreva rompere l’equilibrio della
condizione abituale e raggiungere un
nuovo stato affinché lo spettatore subisse l’influenza emozionale necessaria a muovere la sua coscienza. Tale rottura era ottenibile solo aggredendo i
sentimenti dell’osservatore [19]. Il film si trasformava così in una selezione tendenziosa di eventi, liberi
da compiti strettamente narrativi e tali da esercitare sul pubblico un
modellaggio psicologico conforme al fine conseguito[20].
Con i fotomontaggi realizzati a decorrere dal 1924, attraverso la riduzione del
numero dei frammenti presenti nella composizione, la produzione di Heartfield
subiva uno scatto evidente rispetto alla dispersione poliprospettica delle composizioni
dadaiste, arrivando a perseguire gli stessi obiettivi. Fotomontaggi che vengono
citati dallo stesso Ejzenštejn in un brano della sua Teoria generale del montaggio, in cui il regista analizza il procedimento letterario del ‘centone’,
comune al montaggio cinematografico e pittorico. Ne riportiamo un breve
stralcio a dimostrazione di quanto le loro idee fossero in assoluta simbiosi:
[…] Pezzi di cronaca, ripresi secondo
una certa disposizione tematica e nell'ambito di un certo sistema ideologico,
si trasformano completamente nell'un senso come nell'altro grazie ad
accostamenti diversi e a combinazioni con altri frammenti di altri avvenimenti
di diverso soggetto […]. Prima di
diventare uno dei componenti del cinema, il metodo del centone passa attraverso
un altro stadio che potremmo chiamare lo stadio del centone pittorico.
L'apparizione di questo genere, la moda e l'interesse per esso risalgono al
XVIII secolo, quando questo divertimento fu definito decoupage. Potremmo inserire qui direttamente
la serie dei maestri del decoupage che non giocano più con questo genere come
amatori, ma lo adottano per esprimersi artisticamente a modo loro: Max Ernst
(per esempio la raccolta La
Femme 100 tete, cfr. film. 36-39) o i fotomontaggi di John Heartfield e di Rodčenko,
che con questo metodo hanno lottato per le loro idee sociali[21].
In Heartfield come in Ejzenštejn,
il montaggio degli elementi scelti, l’accostamento di più componenti, produce
un pensiero e, attraverso il procedimento analogico, realizza una sintonia
perfetta tra il linguaggio logico e visivo. È probabile che per entrambi,
proprio il Costruttivismo e le teorie del Formalismo russo abbiano costituito
il punto di partenza comune dal quale desumere il criterio di condensazione
figurativa e semantica adottato nelle loro creazioni. Peraltro, attorno al
1929, in vista della mostra Film und Foto
di Stoccarda, il regista sovietico si era trasferito a Berlino, portando con sé
alcuni scritti teorici sulla costruzione dell’immagine; negli stessi anni,
sulla scorta delle teorizzazioni del regista russo, Heartfield aveva modificato
ulteriormente il suo stile[22].
Non v’è purtroppo lo spazio
necessario per addentrarsi all’interno di tale affascinante argomento. Dovendo
necessariamente sintetizzare, concludiamo che i due, per certi aspetti, condivisero
la medesima idea di montaggio: non una mera tecnica basata sul taglio e sull’incollatura, ma l’emblema di una concezione dell’arte che riflette
una precisa concezione del mondo; un processo fondato sull’humour, sulla composizione, compenetrazione e, soprattutto, sul
conflitto sensoriale e sinestetico degli elementi[23].
Per entrambi fu valido il
criterio dello shock percettivo,
determinato dall’accostamento dicotomico di immagini violentemente e
volutamente contrastanti (figg.4;5;10). Inoltre, i due sfuggirono a ogni tipo
di catalogazione, classificazione o etichetta, dal Ritorno all’ordine alla Neue
Sachlichkeit. Comune fu la disponibilità, da parte dei due artisti, a
sacrificare il piacere edonistico-formale proprio dell’opera d’arte per un
linguaggio realistico, che avesse un’influenza diretta sulle masse e
perseguisse un obiettivo specifico: la propaganda
attraverso l’immagine[24].
4.
John
Heartfield, Film tedesco parlato, fotomontaggio, pagina illustrata per
il libro Deutschland über alles di Kurt Tucholsky. Berlino, Neuer
Deutscher Verlag, 1929.
5.
Sergej
Ejzenštejn, Fotogramma da‘ Que Viva
México!’, 1932.
●
Les piliers de la
culture et de la morale bourgeoises commencèrent à s’effondrer sous l’influence
de la guerre impérialiste de 1914-1918. Les artistes prenaient du retard sur
les événements. Le crayon se révélait être un moyen trop lent. Il était débordé
par les mensonges répandus par le presse bourgeoise. Ne pouvant tenir le tempo,
les artistes révolutionnaires restaient à la traîne, ils ne parvenaient pas à
fixer toutes les étapes de la lutte du prolétariat… L’artiste prolétarien doit bravement
regarder en face le fait que la photographie a continué d’évoluer. Si je
rassemble des documents photographiques et que je les dispose face à face
intelligemment et habilement, ils exerceront sur les masses un effet énorme de propagande
et d’agitation. Pour nous, c’est cela le plus important. C’est la base de notre
travail. C’est pourquoi notre tâche est d’agir sur les masses de la façon la
meilleure, la plus forte, la plus profonde. Si nous y parvenons, nous aurons
alors donné naissance à un art véritable[25].
Così Heartfield si era espresso
riguardo all’uso politico dei mass media
e della fotografia nel campo dell’arte. Per l’ex Monteurdada, la matita si rivelò essere un mezzo troppo lento. Oltrepassata dalle menzogne diffuse dalla
stampa borghese, la grafica cedette il passo alla tecnologia, alla giustapposizione scaltra e intelligente di
documenti fotografici, capaci di esercitare un’enorme influenza di propaganda e di agitazione sulle masse[26].
Un pensiero condiviso anche da Rodčenko, per il quale la fotografia fu il mezzo
di espressione naturale del mondo
industriale[27].
L’uomo dell’era industriale era alla ricerca del linguaggio più idoneo a
ritrarre la sua concezione del mondo. Tale linguaggio risultò essere costruttivista:
univa una fede entusiasta nella tecnologia moderna, il suo potere di riformare
la società, alla scelta di punti di vista dinamici e reali.
Negli anni Venti i
nuovi impulsi economici, la stampa illustrata e l’industria pubblicitaria
determinarono la rinascita del mezzo fotografico, inizialmente investito dal
pregiudizio di una obsoleta concezione dell’arte, considerata estranea a ogni
tipo di processo tecnico-produttivo. Contemporaneamente, l’ungherese Moholy–Nagy
affermò che il compito dell’artista era quello di usare tutti i media e le
tecniche in senso produttivo e non riproduttivo[28].
Per lui, l’arte aveva l’obiettivo di perfezionare l’uomo moderno, di cui la
fotografia e il cinema, estendendo i limiti dell’occhio naturale, offrivano una
nuova visione. Proprio nella sua opera Pittura,
fotografia, film, il costruttivista affrontò le problematiche della
configurazione ottica e le possibili relazioni fra i mezzi fotografici,
cinematografici e artistici, fra arte e tecnologia, al fine di rintracciare
nuove forme compositive che andassero al
di là dello specifico fotografico[29].
Nel capitolo intitolato Futuro della
tecnica fotografica, tra le varie possibilità di applicazione del
dispositivo, egli elencava anche il fotomontaggio:
associazione e
proiezione di immagini sovrapposte o accostate l’una all’altra; penetrazione;
concentrazione di scene da organizzare: elementi surreali, utopia e scherzo
(qui sta la nuova arguzia!), strumento pubblicitario; manifesto; propaganda
politica; mezzo per creare libri di fotografia, vale a dire con fotografie al
posto del testo; tipofoto[30].
Sempre secondo Moholy–Nagy il tipofoto, definito comunicazione visiva rappresentata più esattamente[31]
rispondeva, invece, alla diffusione immensa
dei servizi d’informazione. Solo in
tempi recentissimi – egli scrisse – ha avuto inizio un lavoro tipografico che
impiegando i contrasti del materiale stesso (caratteri, segni, valori positivi
e negativi della superficie) cerca di stabilire delle rispondenze con la vita
attuale. Il procedimento diventava elemento
necessario di collegamento fra il contenuto della comunicazione e l’individuo
che la percepisce[32].
Inoltre, la fotografia impiegata
come materiale tipografico trovava nel fototesto
(sostitutivo delle parole) un veicolo di informazione e, spesso, di
propaganda:
Dalle
connessioni ottiche e associative si sviluppa la composizione, la
rappresentazione: in una continuità visuale-associativa-concettuale-sintetica:
nel tipofoto, come rappresentazione inequivocabile in una forma otticamente
valida
[33].
L’uso della tipografia come mezzo
per ‘urtare’ visivamente le capacità psichiche dell’osservatore, era già
presente nei dadaisti tedeschi Schwitters, Heartfield, Höck e Hausmann[34]. Con loro si intrapresero le ricerche
più innovative, soprattutto attraverso il collage
e il fotomontaggio, che Heartfield praticò precocemente e con successo per
la copertina di Der Dada n.3 (1920).
Già durante l’esperienza precedente, infatti, egli aveva compreso come il
lavoro grafico delle pubblicazioni, delle copertine e dei volantini avesse un
immediato impatto visivo.
A partire dal 1918 in Germania il
governo e i socialisti, con l’aiuto di manifesti e volantini, principiarono una
grande campagna politica, durante la quale del tutto nuovo fu il tentativo di
invogliare parte della avanguardia artistica alla pubblicità di partito[35].
Tuttavia, le committenze non coinvolsero né gli esperti in pubblicità
commerciali e propagandistiche, né i manifestanti del 1918-19, come Heartfield
e Grosz. Rapidamente, tale attività divenne un’arma letale nelle mani dei
diversi partiti di destra e di sinistra. Infatti, dal 1928 e per conto della
KPD, Heartfield realizzò una serie di fotomontaggi destinati alla
cartellonistica elettorale. Con le loro immagini semplici e immediate, i testi
significativi e i riferimenti all’azione, essi furono principalmente agitation[36].
L’efficacia dei manifesti prodotti dal Partito Comunista Tedesco, tra i quali
ricordiamo Der Hand hat 5 Finger di
Heartfield (1928) e Pour un axe ouvrier
rouge di Sándor Ék (1924) – ispirato al Prolétariat
géant di Daumier – fu altresì avvalorata dalle forti impressioni suscitate
nell’avversario politico, in particolare nell’NSDAP che, tra tutti, riservò
alla comunicazione un ruolo primario. Nel 1925, a questo riguardo, Adolf Hitler
disse:
[…] io
mi sono sempre estremamente interessato all’attività di propaganda. Ho visto in
lei uno strumento che le organizzazioni sociali- marxiste dominarono con una
destrezza magistrale […][37].
Secondo lo statista, l’avversario
doveva essere sconfitto con le sue stesse armi. Per riuscirci, il Nazionalsocialismo
decise di appropriarsi non solo del colore e dei simboli del movimento operaio,
ma anche delle idee esposte nei manifesti di Heartfield. Partendo dall’opera Combattete con noi! l’SPD pubblicò Lavoro per il padre!pane per i bambini!
dove, sullo sfondo nero, rosso e oro della Repubblica, delle mani offrivano
pane e martelli ad altre mani tese. Nel 1932 l’NSDAP, ispirandosi a questo
manifesto, ne ricreò uno intenzionalmente simile, ma dal carattere centralistico
e surreale (figg.6;7;8)[38].
6.
John Heartfield,
Combattete con noi!: vota la lista 6 dei comunisti KPD, 1932.
7.
Rynar, Lavoro per il padre!pane per i bambini!
SPD, 1930.
8.
Anonimo, Lavoro e pane attraverso la Lista 1 NSDAP, 1932.
Dunque, nella Berlino degli anni Venti,
il potere nascente dei mass media si
mise al servizio di un grafismo funzionale. La tipografia cercò nuove e più
adatte regole di composizione per una migliore leggibilità del messaggio. La
moderna pubblicità giocò con la fotografia per creare un prodotto utile. E
l’utilizzo politico del manifesto servì gli interessi dei governi contro quelli
dei loro popoli. I partiti si impadronirono di un nuovo mezzo di veicolazione delle
idee e il manifesto politico invase le strade popolate da disoccupati e
senzatetto[39].
●
La
versione offerta da Grosz sull’origine del fotomontaggio, priva di ogni
tentativo di rivendicazione, è sicuramente la più interessante, in quanto
attribuisce a Heartfield lo sviluppo delle possibilità insite nella nuova
tecnica, nata come un gioco ma destinata ad avere un’enorme importanza:
Su un pezzo di
cartone incollammo alla rinfusa annunzi di cinti per l’ernia, di libri
commerciali e di alimenti concentrati per cani, etichette di bottiglie di
grappa e di vino, fotografie di giornali illustrati, ritagliate a capriccio e
assurdamente ricomposte… il tutto combinato in modo che il fotomontaggio
dicesse con le sue immagini quello che a parole sarebbe caduto sotto le forbici
della censura.
Preparammo così
delle cartoline che potevano sembrare mandate dal fronte in patria o da casa al
fronte. Alcuni amici, tra i quali Tretjakojj, ne fecero una leggenda, secondo
cui «il popolo, anonimamente» avrebbe inventato, in questa maniera, il
fotomontaggio… la verità è che Heartfield ne fu incoraggiato a sviluppare una
tecnica precisa da quella che originariamente era stata soltanto una satira
politica fatta per divertimento[40].
Avendo
compreso
l’insufficienza e la corruzione sottese alle consuete forme d’arte, Heartfield
abbandonò il tono distruttivo delle azioni dadaiste per nuovi strumenti di
espressione, trasmessi con mezzi di comunicazione altrettanto innovativi : i
giornali, le copertine dei libri, la cartellonistica, il teatro e il manifesto
di propaganda. Tra le sempre più numerose offerte dei mass media, egli selezionò i dispositivi più idonei a comunicare il
proprio messaggio politico. Fin dai suoi primi fotomontaggi, l’appropriazione e
la canalizzazione del loro potenziale al servizio della lotta rivoluzionaria
determinarono la strada da seguire e, all’interno del più vasto campo
tipografico e del disegno pubblicitario, Heartfield riuscì a trovare un suo
peculiare canale di espressione, mediante il quale le montage confronte l’expérience du travail avec les structures de la
réalité[41]. La critica politica avviata
nella fase dadaista, dunque, evolse in una tecnica mirata alla messa in
evidenza del reale, in un orientamento determinato dalle condizioni di
ricezione visiva. Heartfield aderì all’ASSO, associazione affiliata al gruppo
russo e ispirata alla Rote Gruppe, la
cui attività va inserita nel travagliato contesto della Repubblica di Weimar,
quando in molti artisti nacque la necessità di un rapporto più stretto con la
KPD[42].
Sull’esempio sovietico tutti i componenti del gruppo, organizzato in
distaccamenti territoriali, furono mossi dall’intenzione di utilizzare l’arte
come un’arma al servizio del proletariato nella lotta di classe (Die Kunst ist eine Waffe), un’arma tesa
anche al reclutamento di nuove leve nell’esercito di intellettuali impegnati a
contrastare l’imminente ascesa del Nazionalsocialismo. La sezione ASSO di
Berlino si distinse per un acceso dibattito critico, legato alla
sperimentazione e al rigetto delle tradizionali forme artistiche, accettate,
per contro, negli altri gruppi locali[43].
Dibattito che già da tempo aveva coinvolto anche Heartfield e Grosz, autori di
un articolo polemico intitolato Kunstlumpdebatte
(Dibattito sull’arte corrotta), pubblicato sulla rivista Der Gegner e rivolto al giovane professore d’accademia Oskar
Kokoschka[44]. Le
violenze subite dai proletari e la critica posta a una giustizia di classe, due
dei temi più cari all’associazione, furono affrontate in modo ironico e
originale da una creazione dell’artista, in cui appare ritratto con una grossa
forbice nell’atto di tagliare la testa di Zörgiebel, commissario di polizia e
spalleggiatore del Partito Nazista, afin
de la replacer ailleurs ‘comme il faut'[45] (fig.9).
A decorrere dal 1930, inoltre, l’ex dadaista collaborò al giornale operaio
illustrato Arbeiter Illustrierte Zeitung,
in cui raggiunse il punto culminante della sua azione. I fotomontaggi
realizzati per conto di AIZ, considerati da Behne tra i più efficaci mezzi di
propaganda e acutamente definiti fotografia
più dinamite[46],
ebbero una diffusione massiva e legarono inscindibilmente l’opera politica e
informativa di Heartfield, raggiungendo una simbiosi senza precedenti. A questo
riguardo ricordiamo le parole di Louis Aragon, che lo aveva definito il prototipo e il modello dell’artista
antifascista (le prototype et le
modèle de l’artiste antifasciste[47]):
Depuis Les Châtiments et Napoléon le Petit, aucun poète
n’avait atteint les hauteurs où voici Heartfield face à Hitler. Car, aussi bien
dans la peinture et le dessin, les précédents manquent- ils, malgré Goya, Wirtz
et Daumier[48].
9.
J.
Heartfield, Autoritratto con Zörgiebel,
1929.
●
Estraneo
alla storia delle mostre e alle soluzioni formali della Nuova Oggettività, ma anche alle problematiche meramente figurative,
Heartfield, nel 1924, passava quindi dalla
rivoluzione dell’arte all’arte della rivoluzione e collaborava con il
fratello, scrittore ed editore marxista, a numerosi progetti dalla finalità
politica[49].
10.
John Heartfield, Nach
20 Jahren, 1924.
Opere
come Nach 20 Jahren (fig.10), in cui
giovani armati marciano sotto gli scheletri dei padri uccisi venti anni prima, conducono
a una nuova strada che, dalla casualità degli accostamenti dei fotomontaggi
dada, si indirizza progressivamente lungo la ricerca di effetti diversi, più
vigorosi, visibili soprattutto nelle satiriche immagini di Hitler e nella
creazione tanto famosa quanto psicologicamente violenta di Der Hand hat 5 Finger (figg.11;12;13)[50].
Qui, lo sfasamento tra parola e immagine – che impongono due diverse modalità
di lettura, una più analitica e lenta, l’altra più sintetica - si risolve in
un’opposizione dialettica spazio- temporale, dove il gioco ambiguo tra i
procedimenti del leggere e dell’osservare propri del cubismo sintetico,
appaiono ribaltati: la parola torna ad avere un significato intellegibile e si
presta alla comunicazione verbale e visuale[51].
Il montaggio di Heartfield, dunque, si fonda sia sull’accostamento/opposizione
delle figurazioni, sul gioco capzioso tra realtà e finzione proprio del cubismo
francese, sia sul procedimento e sulla contrapposizione tra parola e immagine,
in particolare tra complessità del messaggio verbale e semplicità del messaggio
visivo. Oltretutto, la parola scritta sancisce la vera presa di coscienza del contenuto.
Proprio in questo elemento starebbe l’aspetto rivoluzionario dell’opera di
Heartfield: come accennato, la pariteticità tra scrittura e figura, tra
tipografia e fotografia, appena teorizzata da Moholy–Nagy in Pittura, Fotografia, Film. E, per dirla
con Jolanda Nigro Covre, nelle sue creazioni egli restituisce il messaggio che Picasso e Braque hanno
frantumato, ma lo fa senza negarne il principio di discontinuità[52].
Ciò significa che il procedimento alla base del collage cubista e del montaggio politico di Heartfield è pressoché
analogo, poiché fondato, oltreché sull’analogia tra elementi formali e
significati, sul quel principio di discontinuità che Picasso e Braque, con
l’inserimento di lettere e parole nell’opera, avevano precedentemente avviato.
11.
John
Heartfield, Hitler il superuomo: ingoia
oro e sputa latta, 1932.
12.
John Heartfield, Der Sinn des Hitlergrusses: Kleiner Mann
bittet um grosse Gaben. Motto: Millonen Stehen Hinter Mir!, copertina per AIZ, 1932.
13
(a;b) . John
Heartfield, Der Hand hat 5 Finger,
1928.
-
Negli anni Venti Heartfield
realizza una nuova sintesi tra indirizzi politicamente impegnati: fra il
Dadaismo e la Neue Sachlichkeit, fra
il Costruttivismo sovietico e il Realismo socialista. La sua adesione al reale,
tuttavia, non è sovrapponibile né alla nuova oggettività dell’amico George
Grosz, né all’impostazione astrattista dei costruttivisti. Il suo verismo non è
apprezzabile sul piano formale e linguistico. Esso è visibile nel procedimento
adottato, che si distacca da quello costruttivista perché originato da
un’intenzionalità più rivoluzionaria della comunicazione. Se nelle creazioni di
Lissitzky, Rodčenko e Moholy–Nagy la parola è inglobata nella forma e funziona
in primo luogo da immagine, in Heartfield la scrittura ha un effetto d’urto
determinato dal disequilibrio tra i tempi, i modi e gli spazi della lettura
formale e concettuale. Per questo le sue creazioni possono essere felicemente
confrontate con un altro medium artistico,
quello grafico, soprattutto di indirizzo caricaturale[53].
Ma, in quanto a complessità del procedimento, esse finiscono per superarlo
perché si muovono su un duplice piano: il naturalistico della fotografia e
l’astratto-artificiale del montaggio[54].
Inoltre, una differente metodologia unisce l’esperienza dei vari Klucis, Lissitzky,
Rodčenko e Stepanova: il montaggio inteso come scomposizione dei caratteri
tipografici, come uso di forme geometriche rigorose che, combinate a immagini
fotografiche, perseguono una impostazione specificamente ‘costruttiva’. In Moholy–Nagy,
peraltro, la libertà creativa delle fotoplastiche
non è mai rinnegata e nemmeno sacrificata all’ideale politico. Eppure ad accomunare
il lavoro del fotografo ungherese, di Rodčenko e di Heartfield vi è più di un
elemento. Tanto per cominciare, una concezione della fotografia come ‘arte del
presente’, come unico strumento in grado di raggiungere qualsiasi obiettivo, compreso quello propagandistico. Inoltre, nei loro fotomontaggi i caratteri tipografici non soltanto
costituiscono il nucleo semantico fondamentale dell’opera, ma assolvono alla
funzione di ‘mezzo unificante’, collegando il contenuto della comunicazione alla
figurazione. L’artista diventa essenzialmente un ‘regista della composizione’ e
quest’ultima viene organizzata secondo una logica ferrea, basata sulla
chiarezza e sulla leggibilità del messaggio. Li avvicina, ancora, un’idea del
procedimento tipografico quale punto di raccordo tra contenuto e individuo.
Intorno al secondo decennio del
Novecento, con Rodčenko e con Stepanova, la fotografia entrava a far parte
dell’arte del libro e del manifesto; quasi contemporaneamente, tra il 1922 e il
1924, col passaggio dalla fase dadaista alla produzione di immagini destinate
alla propaganda, le composizioni di Heartfield variavano in modo radicale, anche
grazie agli scambi tedesco-sovietici avviati negli anni cruciali 1922-23. Tali
scambi hanno condotto l’artista a creazioni non più inquadrabili in un
movimento. Dunque, come ha osservato Nigro Covre, dal 1924 il suo lavoro dovrà essere analizzato secondo i parametri
di un'operazione estetica nell'ambito di una finalità di azione politica, in
cui è assolutamente fondamentale il rapporto paritario tra parola e immagine[55].
Moholy-Nagy con il suo tipofoto ed
Ejzenštein con la sua teoria del montaggio filmico non sono poi così distanti[56].
Volendo riassumere rimanendo però in
tema di rapporto "arte-tipografia", si può concludere che nelle composizioni di
Heartfield il lavoro minuzioso dell’alunno delle Arti Applicate, la tecnica e l’effet de surprise prodotto dall’uso
del papier-collé, l’humour e il lato rumoroso delle
azioni dadaiste appaiono esattamente condensati e bilanciati in un unico,
nuovo, eloquio visivo. A ciò vanno
aggiunte la collera e la spontaneità, il radicalismo e il rifiuto del
compromesso, l’attenzione ai problemi sociali della realtà contemporanea, di
cui già l’opera dadaista si era servita per scomporre le immagini convenzionali
del mondo[57].
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[1] D. Riout, L’arte del ventesimo secolo, Giulio
Einaudi editore, Torino 2002, p. 118.
[2] Ivi, p. 130.
[3] Nell’ex URSS, la tecnica del
fotomontaggio si rivelò essere un innovativo ed efficace mezzo di comunicazione
per le masse, in gran parte analfabete. Rodčenko, in particolare, si servì
dello strumento fotografico e del fotomontaggio per realizzare manifesti
politici e illustrare libri. L’artista, inoltre, fu a contatto con Moholy-Nagy,
docente al Bauhaus statale di Weimar dove, nel 1923, sostituì Johannes Itten,
contribuendo a consolidare la svolta costruttivista impressa da Gropius alla
scuola e a promuovere l’insegnamento e la pratica della fotografia come
autonomo strumento di espressione.
[4] L. Moholy-Nagy, Pittura
Fotografia Film, a cura di Antonello Negri, Scalpendi Editore, Milano
2008, pp. 34-35.
[5] Ivi, pp.
34-35.
[6] Cfr. E. Gillen, De la révolution intellectuelle à l’art
politique, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre
Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 292-301.
[7] Ivi, p. 298.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] K. Passuth, Berlin centre de l’art est- européen, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris,
Gallimard 1992, p. 226.
[11] Si deve ricordare che, in questi
anni, Heartfield collaborò con giornali e riviste come Rote Fahne, producendo articoli, fotomontaggi e inserzioni
pubblicitarie.
[12]K. Passuth, Berlin
centre de l’art est- européen, in Paris-Berlin, catalogo della
mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992,
pp. 222- 231.
[13] En 1912, il travaille comme dessinateur d’emballages dans une
imprimerie de Mannheim: S. Kriebel, John
Heartfield, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005,
p. 478.
[14] Dada, l’arte della negazione,
catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista, Roma, Palazzo delle Esposizioni
1994, p. 87.
[15] G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura
tedesca intorno al 1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, pp. 226-27.
[16] Ivi, p. 233.
[17] Vedi S. M.
Ejzenštejn, Forma e tecnica del film e
lezioni di regia, a cura di Paolo Gobetti, Einaudi Torino 1964, pp. 365-516.
Cfr. anche M. Regosa, Breve storia del
cinema, BCM editrice, Milano 1998, pp. 70-74; limitatamente al rapporto con
Heartfield, vedi J. Nigro Covre, L'arte
tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 103-112.
[18] M. Regosa, Breve storia del cinema, BCM editrice, Milano 1998, p. 71.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] Tutto il saggio è incentrato
sulla ricerca dell' ‘Uomo’ attraverso la forma del cinema (di cui il montaggio
è massima espressione); il contenuto per Ejzenstejn scaturisce dal sentimento
profuso in quella forma e dalla urgenza sociale (‘socialista’) dell'autore: S.
M. Ejzenstejn, Teoria generale del
montaggio, a cura di P. Montani, tr. it. Marsilio, Venezia 1985 (1937), pp.
237-238.
[22] Per Film und Foto vedi anche H. Molderings, La seconde découverte de la photographie, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre
Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 250–265.
[23] Per Heartfield, Ejzenštejn e i
costruttivisti sovietici, l’arte deve mettersi in sintonia con la macchina del
mondo. Cfr. S. M. Ejzenstejn, Teoria
generale del montaggio, a cura di P. Montani, tr. it. Marsilio, Venezia 1985
(1937), pp. XVI- XXII.
[24] Io fuggo dal realismo andando verso la realtà, scrisse il regista:
M. Regosa, Breve storia del cinema,
BCM editrice, Milano 1998, p. 71. Per la propaganda attraverso l’immagine: P.
Hielscher, Propagande par l’image, in
Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou
1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 410-19.
[25] Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi,
Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p.172.
[26] Art et Politique, in Paris-Berlin, catalogo della mostra,
Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp.
304-305.
[27] H. Molderings, La seconde découverte de la photographie,
in Paris-Berlin, catalogo
della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard
1992, p. 252.
[28] L. Moholy-Nagy, Pittura
Fotografia Film, a cura di Antonello Negri, Scalpendi Editore, Milano
2008, pp. 28-29.
[29] Ivi, p. 6.
[30] Ivi, pp. 34-35: Moholy–Nagy propone l’abbandono dell’idea di cinema
come riproduzione di azioni drammatiche e si concentra sulle reali possibilità
di sperimentazione insite nel dispositivo cinematografico. Sua, la concezione
di un ‘cinema simultaneo’, il mezzo più idoneo a sviluppare ulteriormente le
esperienze di montaggio avviate, nel corso degli anni Venti, dai principali
esponenti del cinema sovietico come Kulešov, Vertov, Pudovkin ed Ejzenštejn.
[31] Ivi, p. 37.
[32] Ibidem.
[33]
Ivi, p. 38.
[34] J. Brun, Typographie, in DADA, Centre Georges Pompidou, Parigi,
2005, pp. 942 – 945.
[35] Dal novembre 1918 al 1924 alla
rivoluzione, alla guerra civile, all’occupazione straniera, agli assassini
politici, all’inflazione alle stelle corrisposero enormi sperimentazioni in
campo artistico, dominato dagli espressionisti. Fra il 1924 e il 1929, per
contro, la Germania godette della stabilità fiscale e politica, cui collimò in
arte, con la Neue Sachlichkeit, una
ricerca di obiettività, di realismo e di sobrietà. I tempi dello
sperimentalismo parvero finiti. Tuttavia, dal 1929 al 1933 la disoccupazione
crebbe a livelli disastrosi, le violenze si riacutizzarono e, di conseguenza,
la cultura si fece specchio di questa nuova situazione socio-politica. Le
divisioni s’approfondirono e i dibatti sfociarono nuovamente in violenze,
esasperate dall’improvviso crollo della borsa e dalla profonda crisi economica
mondiale. Questo è lo sfondo politico sul quale operarono i tanti partiti della
Germania pre-nazista, con in testa la KPD di Heartfield e l’NSDAP di Adolf
Hitler: Peter Gay, La cultura di Weimar
(1968), trad. it., Dedalo, Bari 2002, pp. 183- 204.
[36] P. Hielscher, Propagande par l’image, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris,
Gallimard 1992, p. 415.
[37] Ivi, p. 416.
[38] Un’altra evidente analogia si
può ricostruire tra un anonimo manifesto antifascista della KPD e il manifesto
del NSDAP (1933) Führer noi ti seguiamo!
Tutti ti dicono si, completamente opposti nei contenuti. Vedi P. Hielscher,
Propagande par l’image, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris,
Gallimard 1992, pp. 415-416.
[39] J. Costa, Construire avec des images, in Paris-Berlin, catalogo
della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard
1992, p. 394.
[40] H. Richter, Dada. Arte e antiarte, ed. Gabrielle Mazzotta, Milano 1966, p. 142.
Cfr. anche J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci 1998,
pp. 103-112.
[41] M. Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris,
Gallimard 1992, p. 424.
[42]L’ASSO, nata a
Berlino nel 1928, è conosciuta anche sotto l’acronimo ARBKD, Associazione degli
artisti figurativi rivoluzionari tedeschi: I. Torelli, ‘L’arte è un’arma’:
attività di propaganda e iconografia dell’ASSO di Berlino, Lipsia e Dresda,
in ‘L’Uomo Nero’, a. III, n.4-5, dicembre 2006, pp. 195-218.
[43] Inoltre, alla
sezione berlinese aderirono anche altre formazioni, come l’associazione degli Zeitgemäßen (I moderni) i cui artisti
praticavano un linguaggio di contaminazione tra Costruttivismo astratteggiante
e Realismo. Cfr. I. Torelli, ‘L’arte è un’arma’: attività di propaganda e
iconografia dell’ASSO di Berlino, Lipsia e Dresda, in ‘L’Uomo Nero’, a.
III, n. 4-5, dicembre 2006, pp. 196-197.
[44] Il 13 marzo 1920 a Berlino le
forze militari di estrema destra, sostenute dai Freikorps, provarono un colpo di stato contro la Repubblica ma il
tentativo fallì. Durante una dimostrazione a Dresda e gli scontri che ne
seguirono, una pallottola nei pressi della Gemaldegalerie
trapassò il quadro di Rubens Betsabea al
bagno e Oskar Kokoschka, manifestando il suo disappunto per l’accaduto,
intimò di tenere tali bellicosi esercizi
non più davanti alla galleria dello Zwinger, ma eventualmente nella spianata
del poligono, dove la cultura umana non è messa in pericolo. L’appello di
Kokoschka fece scaturire il cosiddetto Kunstlumpdebatte,
durante il quale Grosz e Heartfield si scagliarono contro il professore
definendolo un ‘pezzente dell'arte’: R. Tenconi, La seconda generazione
dell’Espressionismo a Dresda. Nascita e dissoluzione della Dresdner Sezession
Gruppe 1919, in
‘L’Uomo Nero’, a.III, n.4-5, dicembre 2006, p. 73.
[45] M. Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris,
Gallimard 1992, p. 426. Il fotomontaggio introduce un altro tema di rilievo:
l’autoritratto quale espediente più idoneo a esprimere la propria natura di
uomo politicamente impegnato e in rivolta. Vedi I. Torelli, ‘L’arte è
un’arma’: attività di propaganda e iconografia dell’ASSO di Berlino, Lipsia e
Dresda, in ‘L’Uomo Nero’, a. III, n.4-5, dicembre 2006, p. 210. Cfr. anche
P. Gay, La cultura di Weimar (1968),
trad. it., Dedalo, Bari 1978, pp. 210-211.
[46] J. Nigro Covre, L’arte
tedesca nel Novecento, Carocci 1998, p. 108.
[47] M. Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris,
Gallimard 1992, p. 424.
[48] Ibidem.
[49] J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci,
Roma, 1998, p. 108.
[50] Per sollecitare la psiche del
fruitore, questa si affida all’effetto tautologico del numero cinque (La mano
ha 5 dita, con 5 respingi il nemico, vota la lista 5), alle parole e
all’impatto crudo e oggettivo della mano aperta. J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci,
Roma, 1998, p.109.
[51] Se per comunicare le lettere
scritte necessitano di una lettura progressiva, l’immagine per mantenere la sua
efficacia deve essere percepita e letta in un unico momento, deve essere
osservata. Cfr. Peter Hielscher, Propagande
par l’image, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi,
Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 412-413.
[52] J. Nigro Covre, L’arte
tedesca nel Novecento, Carocci 1998, p. 110.
[53] Si deve
ricordare che, per l’efficacia dei suoi disegni, Grosz è il solo artista al
quale Heartfield concede di utilizzare lo strumento grafico. Cfr. Milovan
Stanic, John Heartfield (1891-1968)
Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin, catalogo della
mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992,
420-427.
[54] Cfr. J. Nigro Covre, L’arte
tedesca nel Novecento, Carocci 1998, pp. 110-111.
[55] Ivi, p. 108.
[56] Cfr. L. Moholy-Nagy, Pittura Fotografia
Film, a cura di Antonello Negri, Scalpendi Editore, Milano 2008, p.
37; S. M. Ejzenštejn, Teoria generale del
montaggio, a cura di P. Montani, tr. it. Marsilio, Venezia 1985 (1937); K. Passuth, Berlin, centre de l’art est-européen,
in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges
Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 222-239.
[57] M. Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris,
Gallimard 1992, pp. 420-426.
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