Tutti (o quasi) conoscono Giulio Pippi, detto Giulio Romano (1499-1546), architetto e pittore del Rinascimento e del Manierismo italiano, tra i più grandi collaboratori di Raffaello,
con il quale intraprese diversi lavori. Egli collaborò, ad esempio, agli affreschi
della Stanze Vaticane e alle pitture delle Logge e della Villa Farnesina e,
alla morte del maestro, alle pitture di villa Madama e della Sala di Costantino
nelle Stanze Vaticane. In seguito fu invitato, come artista di corte, a Mantova
da Federico II Gonzaga, dove realizzò il bellissimo Palazzo del “Te”.
Il Pippi nacque ai piedi
del foro romano, fra il Colosseo e la Colonna Traiana, fra l’arco di Costantino
e il Campidoglio. Ebbe perciò accesso
alle vestigia delle antichità e, come Hartt ha fatto notare, molte delle sue
qualità artistiche si spiegano proprio per questo speciale rapporto con l’antico. Se Raffaello interpretò
le forme classiche con spirito nuovo e cristiano, Giulio le lasciò spesso nella
loro "pagana forza espressiva". È questo processo di ‘paganizzazione’ che, anche
secondo Sylvia Ferino Pagden, permise di riconoscere nelle opere giovanili di
soggetto religioso attribuite all'artista un’indipendenza dal modello raffaellesco. Fondamentale, inoltre, fu il
suo apporto alle dispute teoriche, soprattutto durante gli ultimi anni di vita
di Raffaello: dal progetto di ricostruzione dell’antica Roma, alla redazione di
un trattato di architettura.
Giulio Romano fu inoltre collezionista di opere antiche: intorno
al 1518 acquistava la pregevole collezione di statue antiche di Giovanni
Ciampolini, così descritta da Lanciani:
«Giovanni Ciampolino,
amico di Angelo Poliziano, abitava « ad Campum Florae » […] nella contrada che
conduce da campo di Fiore alla piazza di capi di ferro […]. I codici di fra
Giocondo e di Jacopo Mazochio danno notizie non dispregevoli intorno a questo
grande raccoglitore di monumenti scritti e scolpiti. Al f. 197 del codice di
disegni […] v’è un disegno di sarcofago con iscena di battaglia, attribuito a
fra Bartolomeo, con la legenda «Joanni Ciampolino […]». Anche il sarcofago con
il trionfo indico di bacco, ora in Villa Medici è indicato nel Cod.
Escorialense «in chasa el ciampolino» » (LANCIANI 1899, pp. 107-108).
Alla morte del
Ciampolini, dunque, la raccolta passò a Giulio Romano e al Penni:
«Il Ciampolini
Giovanni, l’appassionato collezionista, era già morto nel 1518. In un rogito
del notaro Bartolomeo Benevolo […] che porta la data del 21 maggio di
quell’anno, la casa di via de’ Balestrari […] si dice appartenere a Michael
Zampolinus […]. Michele morì o sulla fine del 1519 o sul principio del 1520. La
sostanza doveva essere divisa fra otto eredi. Giulio Romano e il Fattore
offrirono la somma considerevole di centottanta ducati d’oro per le sole
scolture, fra le quali doveva primeggiare il Torso» (LANCIANI 1899, pp. 107-
108).
Nelle mani di Giulio
arrivarono « singulae figurae seu statuae, cornicia, et
vasia» (LANCIANI 1899, p.
110) e, aggiunge Lanciani:
«chi sa se fra questi
marmi non vi fosse anche il sarcofago col rilievo di Achille e Pentesilea [al]
Cortile del Belvedere […]. Note sono le relazioni di intimità fra l’artista ed
il suo mecenate Clemente VII. Niuna meraviglia pertanto che alcuni capolavori,
fra i quali il torso, siano stati da lui ceduti o venduti al pontefice »
(LANCIANI 1899, p. 110).
Del sarcofago esiste
uno schizzo conservato all’Albertina di Vienna, vera e propria testimonianza di
come il Pippi, attraverso l’incessante pratica del disegno, fosse in grado di
riprodurre tutti i personaggi della mitologia antica. Anche a Mantova egli fece spesso riferimento ai disegni degli anni romani.
Non è chiaro come la
raccolta fosse divisa fra Giulio e il Penni. Si deve notare, però, come Giulio nel
testamento del 29 aprile 1524 lasciasse a Raffaello del Colle (suo garzone)
tutte le cose pertinenti all’arte del pittore, escludendo dal lascito le
antichità, di marmo e non di marmo, esistenti nella sua casa e altrove. Nella
corrispondenza di Federigo Gonzaga esistono inoltre riferimenti al trasporto da
Roma di pezzi della raccolta di Giulio ceduti al marchese. Escludendo le
antichità dal lascito per Raffaellino del Colle, il Pippi dimostrava che le
opere e i disegni tratti dall’antico erano per lui imprescindibili fonti e
strumenti di lavoro.
L’atto di vendita
della collezione Ciampolini parlava anche di ‘cornicia’: in casa, Giulio teneva
capitelli e cornici antiche, come sembra anche confermare l’inventario
della casa mantovana dell’artista, redatto nel 1573. Il documento ricorda la
presenza di «un capitello anticho di marmore», a testimonianza della grande
disponibilità di disegni, statue e rilievi antichi conservati nella sua dimora
mantovana (BURNS 1989, p. 233).
Giulio Romano fu anche
collezionista di monete antiche. Medaglie di età classica vennero citate
nella ricostruzione della Roma passata che si vede sullo sfondo della scena
dell’Adlocutio della sala di Costantino. Sfondo che Giulio Romano,
rispetto a Raffaello, impreziosì attraverso una più minuziosa descrizione degli
edifici di Roma: intravvediamo la Mole Adriana, il ponte sul
Tevere e la Meta Romuli (figg. 1-3).
1.
2.
Evidentemente, la riaffermazione della posizione e dei
privilegi del papato, in un tempo di crisi internazionale, sotto tutti i
profili, rendeva necessario un alto livello di autenticità. Tutte le scene della sala si caratterizzano per un’attenta e
scrupolosa, filologica, attenzione al particolare, teso a ricreare scenari «
autenticamente costantiniani e romani » (fig. 3; BURNS 1989, p. 236).
3.
La critica ha da tempo
rilevato come l’orchestrazione dell’Adlocutio (fig. 4) derivi dalla X scena della Colonna
Traiana (fig. 5), adattata al nuovo significato religioso direzionando lo sguardo degli
astanti verso il "signum eusebiano" (la croce). Un disegno
preparatorio di Raffaello a Chatsworth ricalca bene l’antico modello.
Appare chiaro, però, che siamo di fronte a un caso di commistione e fusione
delle fonti: la scena, infatti, è altresì vicina al rilievo antoniniano
dell’arco di Costantino. Inoltre, la rappresentazione dettagliata delle
armature e degli equipaggiamenti, malgrado le differenze che a una attenta
lettura delle immagini si possono riscontrare, rivela uno studio meticoloso dei
modelli. Ricordiamo che i rilievi traianei e antoniniani dell’arco di
Costantino (fig. 6) erano conosciuti anche per il tramite delle incisioni, tra le
quali quelle di Marcantonio Raimondi rimandano a scene di battaglia dipinte da
Peruzzi, Perino del vaga e, soprattutto, da Polidoro da Caravaggio, sulle
facciate dei Palazzi romani (terzo decennio del Cinquecento).
4.
5.
6.
Il busto del soldato
di spalle che scivola dalla cavalcatura sulla sinistra dell’episodio della
battaglia di Ponte Milvio (fig.8) è stato posto a confronto con la scena IX della
Colonna Traiana, anche se più fedele risulta il paragone con un dettaglio del
sarcofago con scena di Battaglia al Museo Nazionale Romano (fig.7). Il rapporto è innegabile, soprattutto nel complicato
atteggiamento dei caduti, nella loro posizione all’interno della composizione e
nel modo con cui essi si collegano alla figura centrale dell’eroico vincitore a
cavallo.
7.
8.
Ma se notevoli sono le somiglianze, altrettanto interessanti
appaiono le varianti introdotte dall’artista, che usa l’inversione come metodo
principale per mascherare il proprio modello: « Giulio voltò il
cavallo posto dietro l’eroe, il che rese necessario un mutamento della
posizione del nemico caduto. Un accorgimento simile adottò per l’altro
soldato caduto, aggiungendo uno scudo per dissimulare la
derivazione» (GOMBRICH 1973, p. 182). E aggiunge Gombrich: « proprio come ad uno stilista pienamente padrone
delle regole della grammatica ciceroniana può persino accadere di migliorare un
giro di frase ciceroniano, così Giulio si sentiva sufficiente padrone
dell’anatomia e del movimento per eseguire le variazioni sugli antichi temi e
persino per migliorarli con l’aiuto degli studi dal vero » (GOMBRICH 1973,
p. 182).
Bibliografia:
- G. Vasari, Le Vite de
più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e
1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare e indici a cura di P.
Barocchi, vol. V*, Firenze 1984, pp. 55-82: leggere e confrontare le due
versioni della vita di Giulio Romano.
- Giulio Romano,
catalogo della mostra di Mantova 1989, Milano 1989, le schede alle pp. 247-275
(i disegni e i dipinti romani); pp. 317-332 e pp. 336-379 (architettura e
decorazione di Palazzo Te).
- S. Ferino Pagden,
Giulio Romano pittore e disegnatore a Roma, in Giulio Romano, catalogo della
mostra di Mantova 1989, Milano 1989, pp. 65-95.
- K. Oberhuber, Giulio
Romano pittore e disegnatore a Mantova, in Giulio Romano, catalogo della mostra
di Mantova 1989, Milano 1989, pp. 135-175.
- Roma e lo stile
classico di Raffaello 1515-1527, a cura di K. Oberhuber, catalogo di A. Gnann,
catalogo della mostra di Mantova 1999, Milano 1999, le schede alle pp. 100;
101; 102; 103; 250-251; 252-253; 256-257; 258; 259; 268-269; 300-301; 330-331.
- E. H. Gombrich, Il
Palazzo del Te. Riflessioni su mezzo secolo di fortuna critica 1932-1982, in
“Quaderni di Palazzo Te”, I, 1, 1984, pp. 17-21.
- E. H. Gombrich,
“Anticamente moderni e modernamente antichi”. Note sulla fortuna critica di
Giulio Romano pittore, in Giulio Romano, catalogo della mostra di Mantova 1989,
Milano 1989, pp. 11-13.
- J. Shearman, Giulio
Romano e Baldassarre Castiglione, in J. Shearman, Studi su Raffaello, Milano
2007, pp. 157-169.
- P. Joannides, The early Easel Paintings of Giulio
Romano, in “Paragone”, 1985, 425, pp. 17-46.
- F. Hartt, Giulio
Romano, New York 1958 (2 voll).
- P. Pouncey-J.A. Gere, Italian drawings in the
Department of Prints and Drawings in the British Museum. Raphael
and His Circle: Giulio Romano, G. F. Penni, Perino del Vaga, Giovanni da Udine,
Tommaso Vincidor, Polidoro da Caravaggio, Baldassarre Peruzzi, Timoteo Viti and
Girolamo Genga, also Sebastiano del Piombo, London 1962 (2 voll).
- P. Joannides, Giulio
Romano in Raphael’s Workshop, in The drawings of Giulio Romano (1499-1546), I
disegni di Giulio Romano (1499-1546), atti del convegno New York, 6 novembre
1999, a cura di J. Cox-Rearick, Milano 2000, pp. 35-45.
- A. Belluzzi, Giulio
Romano, Modena 2006.
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