Roma, basilica di S. Pudenziana, abside, mosaico.
Al centro, davanti a
un’esedra il Cristo, individuato dalla veste dorata ornata di clavi azzurri, è
seduto su un trono gemmato ed è affiancato dagli apostoli che, a eccezione di
Pietro e di Paolo, interloquiscono animatamente fra loro. Alle spalle dei
Principi degli apostoli due figure femminili stanti, in tunica e palla,
sospendono corone.
Oltre l’esedra, un
fitto paesaggio urbano accoglie, al centro, la crux gemmata. In alto, all’interno di un atmosferico cielo plumbeo,
emergono i quattro simboli dei Viventi. A sinistra, l’uomo alato (Matteo) e il
leone (Marco) e a destra il toro (Luca) e l’aquila (Giovanni).
Come suggerisce Maria
Andaloro, i quattro simboli dei Viventi compaiono a Roma per la prima volta
proprio nel mosaico di S. Pudenziana[1].
L’immagine del
Tetramorfo è apparizione apocalittica dell’Antico Testamento, presentata
nell’ambito della visione del ‘carro del
Signore’ di Ez 1 e ripresa nell’immagine dei cherubini del capitolo 10.
Nell’iconografia paleocristiana le versioni a noi note accolgono anche le
varianti del tema proposte dal libro neotestamentario dell’Apocalisse[2].
Nel testo di Ezechiele la visione del Tetramorfo è presentata come visione di
quattro distinti ‘esseri viventi’ che
« avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali ».
Quanto al capo quadrifronte « ognuno dei quattro aveva fattezze d’uomo; poi
fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro,
fattezze d’aquila » (Ez 1, 5-6). 10). L’Apocalisse giovannea adatta questa
visione alla composizione della rivelazione del ‘gran giorno’ di Dio, che inizia nel capitolo 4. Attingendo alla
cosmologia ebraica a lui contemporanea, l’autore pone in relazione i quattro
esseri viventi con gli angeli che reggono il mondo. Agli animali egli assegna
alcuni caratteri dei cherubini di Ez 10: le ali dai molti occhi, simbolo
dell’onniscienza e della provvidenza divina.
A partire da Ireneo di
Lione, i Padri della Chiesa vi vollero riconoscere le figure dei quattro
evangelisti, ordinati attorno al Cristo, il Re che siede sul trono della
Parusia. L’iconografia del Cristo in mandorla attorniato dal Tetramorfo e dagli
angeli – secondo Van Der Meer ‘Teofania
del Trisagion’[3] – appare
precocemente in Egitto e nelle città di Baouit, di Saqquara e di Salonicco[4].
Tuttavia il primo esempio noto si conserva su un pannello ligneo della porta di
Santa Sabina (inizi del V secolo).
A Roma, il tema è
previsto in molti contesti monumentali: dalla decorazione sulla controfacciata
di S. Sabina, in parte perduta ma documentata da Ciampini, ascritta al
pontificato di Sisto III (432-440), alla controfacciata di S. Maria Maggiore,
sempre del tempo di Sisto III. Con ogni probabilità i quattro Viventi
apparivano in pittura anche sulla controfacciata di S. Paolo fuori le Mura del
tempo di Leone Magno (440-461) e sulla facciata di S. Pietro in Vaticano.
L’ordine di disposizione delle quattro Creature denoterebbe, comunque, un
mutamento in fieri. A Santa
Pudenziana, ad esempio, la sequenza – angelo, leone, toro e aquila – non
riflette tanto il testo apocalittico, quanto piuttosto quello di Ezechiele 1,10
e l’ordine dei Vangeli della Vulgata[5].
A Santa Sabina la sequenza toro, leone, aquila, angelo (Luca; Marco; Giovanni;
Matteo) risalirebbe ancora a una fonte diversa[6].
La trafila esegetica
data da Ezechiele 1,1, Origine e Girolamo[7],
unitamente alla sequenza degli evangelisti, conduce alla centralità della
figura di Girolamo nella definizione tematica della decorazione musiva.
Inoltre, la visione geronimiana di Santa Pudenziana sarebbe contrapposta a
quella agostiniana di Santa Sabina[8].
La decorazione
absidale di Santa Pudenziana pone, inoltre, un’altra problematica, legata a due dei suoi
principali nuclei tematici: la rappresentazione del paesaggio urbano dietro
l'esedra e l’identificazione della figura del Cristo in trono. Quest’ultimo è,
in effetti, oggetto di un variegato ventaglio d’interpretazioni, a volte anche
incompatibili, che lo vedono identificato con il Giove cristiano[9],
con il Cristo docente e filosofo[10],
con il Cristo imperatore[11]
e, infine, con il Cristo Giudice[12],
riconosciuto da Dassmann e negato da Christe. Per contro, nel personaggio
seduto e nella crux gemmata,
Schlatter ha voluto rispettivamente vedere la figura di Dio-Padre e la presenza
del Figlio[13]. Per lo studioso, tuttavia, « the apocalyptic context
would still be there with its reference to God’s judgment in Ezechiel decreeing
and foretelling the destruction of Jerusalem »[14].
Quanto allo scenario
urbano, sulla scorta della riflessione geronimiana, Matthiae lo aveva messo in
relazione con l’evoluzione del tema del Giudizio
e della Parusia nell’orizzonte
figurativo e letterario dell’Oriente cristiano. Tuttavia, « nonostante le analogie
con le composizioni che precedono la formula del Giudizio » per lo studioso «
il mosaico romano non appartiene a quella classe iconografica » e « resta una
teofania ispirata alla seconda venuta »[15].
[1] G. Matthiae, Mosaici medievali delle chiese di Roma,
Roma 1967, p. 57; M. Andaloro, Il mosaico
absidale di Santa Pudenziana, in M. Andaloro, L’orizzonte
tardoantico e le nuove immagini. 312-468, in La pittura medievale a Roma, Corpus v. I, Milano-Roma 2006, p. 118.
[2] U. Utro, Tetramorfo, in Temi di iconografia
paleocristiana, cura e introduzione di F. Bisconti, Città del Vaticano
2000, pp. 286-287.
[3] F.
Van Der Meer, ‘Maiestas Domini’. Théophanies de l’Apocalypse dans l’art chrétien. Etude
sur les origines d’une iconographie spéciale du Christ, Città del
Vaticano 1938, pp. 255-281.
[4] VAN DER MEER 1938, pp. 255-281.
[6] L’assetto presente
nell’Apocalisse prevede, infatti, la seguente disposizione: leone, toro, uomo e
aquila (Marco, Luca, Matteo e Giovanni).
[7] F. W. Schlatter, Interpreting the Mosaic of
Santa Pudenziana,
in Vigiliae Christianae, 49 (1992), pp.
277-280.
[8] MATTHIAE
1967, p. 78; ANDALORO 2006.
[9] T.
F. Mathews, The clash of gods: a
reinterpretation of Early Christian art, Princeton 1993, pp. 98-103.
[10] O.
Steen, The Proclamation of the Word. A
Study of the Apse Mosaic in S. Pudenziana, Rome, in Acta ad Archaeologiam et artium historiam pertinentia, 1999, pp.
85-113.
[11] A. Grabar, L’arte paleocristiana (200-395), Milano 1980, p. 41.
[12] E.
Dassmann, Das Apsismosaik von S.
Pudentiana in Rom. Philosophische, imperiale und theologische Aspekte in einem
Christusbild am Beginn des 5. Jh, in Römische
Quartalschrift, 65, 1970, pp. 67-81;
M. Andaloro, Aggiornamento scientifico,
in G. Matthiae, Pittura romana del
medioevo. I secoli XI-XIV, v. I, Roma 1987, p. 226; ANDALORO 2006, p. 118.
[13] SCHLATTER
1992, pp. 282-285.
[14] SCHLATTER
1992, p. 282.
[15] MATTHIAE
1967, p. 63.
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