di Serena Di Giovanni
Gott mit uns e Dada-Messe
Dal
30 giugno al 25 agosto del 1920 a Berlino, nella bottega d’arte del dottor Otto
Burchard (Finanzdada), avviene la
Prima Fiera Internazionale Dada, organizzata dal Propagandada Marshall George Grosz, dal Dadasoph Raoul Hausmann e dal Monteurdada
John Heartfield. Nata come provocazione, Dada-Messe raccoglie più di 150 opere tra quadri, oggetti,
cartelloni, collages, marionette,
fotografie, riviste e montaggi. Con essa, gli espositori intendono opporsi al
militarismo e al capitalismo, al ridicolo autoritarismo della classe dirigente
e dell’alta borghesia di Weimar. Piuttosto noto è, a questo proposito, il
fotoritratto di Grosz accompagnato dalla citazione “DADA è la disgregazione intenzionale del mondo concettuale borghese e
DADA sta dalla parte del Proletariato rivoluzionario”, che lo immortala di
profilo in atteggiamento bellicoso[1].
Insieme con il Preußischer Erzengel,
l’Arcangelo prussiano, soldato-marionetta dalla testa porcina, i nove fogli
della cartella Gott mit uns, sparsi
sul tavolo e quasi casualmente esposti agli occhi dei presenti, conducono Grosz
e Herzfelde al processo per vilipendio delle Forze Armate del Reich[2].
Il 9 settembre e il 15 ottobre del 1920, presso la Malik-Verlag, gli esemplari reperibili della cartella e alcuni
disegni del Propagandada vengono
sequestrati su disposizione del capo della Polizia di Berlino.
Il
processo ha luogo il 20 aprile 1921. Per Grosz e Herzfelde sono richieste sei
settimane di detenzione, trasformate, durante il processo, in una pena
pecuniaria di 300 marchi per il primo e di 600 marchi per il secondo. Gli altri
imputati invece vengono assolti. Paradossalmente, al ministro della Difesa del
Reich è riservata la possibilità di pubblicare la cartella, mentre le matrici
vengono ritirate e distrutte[3].
Gott
mit uns: Die Gesundbeter, Zuhälter des Todes, Die Kommunisten fallen — und die
Devisen steigen
Gott mit uns. Dio è con noi. É il motto
dell’ordine teutonico, comparso anche nelle fibbie dei cinturoni appartenuti ai
soldati tedeschi durante la prima guerra mondiale. Gli stessi soldati che Grosz,
in Un piccolo sì e un grande no,
ricordava nei loro volti bestiali[4]. Gott
mit uns è altresì il nome di una cartella di nove litografie, pubblicata
nel 1920 dalla Malik-Verlag, casa
editrice gestita da Wieland Herzfelde. Le fotolitografie secondo disegni
portano titoli in francese, in tedesco e in inglese[5].
In questo contributo, del portfolio grafico si andranno a considerare in
particolare i fogli 5 (Le
Triomphe des sciences exactes/ Die Gesundbeter/ German Doctors Fighting the Blockade), 6 (Les maquereaux de la mort/ Zuhälter des Todes/ The pimps of death) e 8 (Ecrasez
la famine / Die Kommunisten fallen — und die Devisen steigen
/ Blood is
the best sauce)[6].
●
Disegnai molte scene di vita militare, attingendo
agli schizzi che avevo fatto sul taccuino durante il servizio […]. Disegnai soldati senza naso […]; […]
disegnai un scheletro vestito da recluta, che passava una visita militare.
Questi erano solo alcuni dei miei disegni antimilitaristi e satirici di quel
periodo[7].
In
Die Gesundbeter si vede uno scheletro
verminoso sull’attenti, inserito al centro di una sala di un ospedale militare. Alle sue spalle, quattro finestre sbarrate lasciano intravvedere gli
alti palazzi e i fumi delle case e delle fabbriche berlinesi. In primo piano
due militari ridono e fumano. Sulla destra altri due, seduti a una scrivania,
fumano e scrivono. Accanto a loro, un personaggio ha lo sguardo rivolto verso
il basso. Nessuno presta attenzione a quanto accade nella stanza. Di fronte a
questa indaffarata commissione, di cui sono rappresentati tutti i gradi
militari, un corpulento medico, a occhi chiusi, come la maggior parte degli
astanti, ha appena verificato l’idoneità dello scheletro alle armi e l’ha
giudicato “KV” (abile al servizio)[8].
É il trionfo della scienza, dei
medici taumaturghi tedeschi in lotta contro il blocco degli alleati[9].
George Grosz, Die Gesundbeter,
1918.
Ce ne andavamo […] a spasso per i sobborghi che si andavano estendendo come un polipo, e
ritraevamo tutto ciò che ci circondava: gli edifici di nuova costruzione, le
miserie della città, i treni che sfrecciavano sui ponti e le strade durante i
lavori di pavimentazione. […] la vita
notturna mi affascinava […]. Nella
nostra ricerca di eccitanti, passeggiavamo per le vie di Friedrichstadt
infestate dalle sgualdrine. Le donne di piacere se ne stavano sugli usci come
sentinelle, dondolando le loro borsette […][10].
In
Zuhälter des Todes si
osservano, in primo piano, tre neghittosi uomini in uniforme, contrassegnati
dalla tipica iconografia militare. Alle loro spalle si apre una città
brulicante di personaggi deformi: scheletri di ricche “signore” impellicciate,
di donne ferme sull’uscio di casa; figure ambigue e altrettanto ischeletrite
che come spettri passeggiano lungo le strade della città[11].
Palazzi contemporanei imbrattati da graffiti e costellati da lucernari,
bandiere e finestre semichiuse con tendine, da cui un solo teschio si affaccia,
fanno da quinta scenografica a una società di cadaveri disadattati,
apparentemente viva e affidata alla sorvegliata cura della casta militare, qui
rappresentata da tre indolenti ufficiali. Essi sono i protettori della morte.
George Grosz, Zuhälter des Todes, 1920.
George Grosz, Die Kommunisten fallen - und die Devisen
steigen, 1919.
In
Die Kommunisten fallen — und die Devisen
steigen un militare e un capitalista, perfetti esponenti del mondo di
Weimar, banchettano di fronte a diversi boccali di birra e di vino, mentre sul
fondo alcuni soldati attrezzati con fucili, coltelli, pistole, manganelli e
spade massacrano i dimostranti. Dunque, secondo un sistema inversamente
proporzionale, i comunisti calano, ma i profitti crescono.
Il brutto, il grottesco, la satira
Numerosi
studi hanno evidenziato come lo stile, il brutto e il grottesco delle stampe
contenute in Gott mit uns affondino
le proprie radici sia nell’espressionismo tedesco di Kirchner e di Meidner, sia
nel realismo satirico e moralizzante dei francesi Courbet e Daumier[19]. Oltretutto, in uno scritto del 1925, Die Kunst ist in Gefahr (L’arte è in
pericolo), Grosz ricordava:
[…] ammiravo i giapponesi, che osservavano la
natura con infinita attenzione; trovavo le loro xilografie piene di vivacità e
mi piaceva specialmente il fatto che descrivessero la vita di ogni giorno.
Altrettanto mi stimolava Toulouse-Lautrec. Ma guardavo volentieri anche intagli
in legno antichi e primitivi, che nella tecnica lineare più semplice trovano
una più chiara capacità espressiva […]
mi interessavano i pittori di tendenza e i moralisti: Hogarth, Goya, Daumier e
artisti di quel genere[20].
Si deve tuttavia precisare che la matrice della vena sarcastica di Grosz, la sua
capacità di catturare e restituire l’essenzialità dei fatti e il taglio
caricaturale delle sue creazioni vanno altresì rintracciati nella penna
talvolta volgare e immediata dei caricaturisti attivi per Ulk e per Simplicissimus,
di cui appresso forniamo qualche
esempio [21].
Simplicissimus; 3 aprile 1917.
Ma
è soprattutto nella Scuola di Arti Applicate di Berlino, dove si insegna il
rapporto tra arte ed editoria, che Grosz impara a utilizzare correttamente il
mezzo grafico. Inoltre:
[…] d’août à
novembre 1913, il vit à Paris et suit des cours à l’atelier Colarossi, où il
développe une technique rapide de croquis avec des modèles qui changent de pose
toutes les cinq minutes. Une telle formation s’avère extrêmement utile: dès
lors, il emporte toujours avec lui un petit cahier de croquis pour dessiner les
passants et la vie animée des rues de Berlin[22]
.
Intuiamo
l’importanza degli schizzi parigini per le sue litografie. Dal disegno
infantile della prima produzione grafica, connesso alla letteratura popolare
illustrata e al primitivismo del Cabaret Voltaire, l’artista passa a un
eloquio figurativo più caricato, quasi espressionistico, ma del tutto peculiare. In Gott
mit uns, la regressione formale delle preesistenti litografie è a un grado
certamente minore. Perché? Ora, egli ha l’inderogabile compito di smascherare i
buffoni della società. Il medium estetico agisce da specchio che
riflette al popolo i vizi e le ipocrisie della classe dominante, dei
capitalisti e dei militari, uno specchio che mostra le “cose” nella loro verità
completa. A questo scopo, Grosz rovescia il linguaggio espressionista della
formazione: rifiuta un punto di vista spirituale e intimistico, per una
prospettiva il più possibile aderente alla realtà. In altre parole, egli impiega
il dispositivo grafico per palesare il carattere dissimulato della società di
Weimar e, con esso, la sua vera facies[23].
Immediato, riproducibile e facilmente divulgabile, tale strumento costituisce
uno dei mezzi più idonei a esprimere la bruttezza della nazione tedesca e ciò
che la censura nasconde[24]:
Disegnavo e dipingevo per opporre resistenza e
tentavo con il mio lavoro di convincere il mondo che esso è odiosamente brutto,
malato e falso[25].
Per
riuscirci, per far sì che l’immagine evolva in messaggio, la grafica deve
necessariamente attingere a una certa forma di realismo. Interessante a questo
proposito il commento di Hannah Arendt, storica e filosofa tedesca, riportato
da Peter Gay:
Noi altri, in quegli anni giovani studenti, non
leggevamo giornali […]. Le caricature di Grosz non ci parvero
satire, quanto piuttosto realistici reportage. Conoscevamo quei tipi. Erano
ovunque intorno a noi[26].
Il
sigaro, le armi, la divisa, le posate, i boccali di birra, l’aspetto pasciuto
dei militari; le donne dai lunghi soprabiti, gli uomini muniti di bastoni e di
bombette; le strade, gli angoli delle periferie berlinesi; perfino le finestre
e i muri fatiscenti delle architetture si fanno strumenti indispensabili per
una valida comunicazione visuale. Essi narrano con la semplice presenza. In Gott mit uns, i ripetuti elementi
iconografici stanno all’immagine come le parole al racconto. Ogni segno visivo
diventa vocabolo. L’assembramento di più dettagli nello spazio neutro del
montaggio, di più parole nella bianca pagina del testo grafico, crea un
messaggio politico preciso: l'art pour
l'art non esiste o, quantomeno, non
risponde più ai bisogni della realtà contingente. La litografia si trasforma in
un collage di segni, dove immobilità
temporale e ossessione analitica appaiono esattamente bilanciati. Gli elementi
iconografici “ritagliati dalla realtà” circostante e combinati intenzionalmente
dentro il foglio provocano uno shock
percettivo che stimola il fruitore all’ironia e alla ribellione[27].
Ormai, la maturità stilistica raggiunta dal Propagandada
elimina ogni tipo di diversità di resa tra collages,
fotomontaggi e disegni a penna. Al di là delle differenze tecniche, medesimo
diventa il fine: “dire attraverso l’immagine”. A questo riguardo, non è casuale
la definizione che Raoul Hausmann ha offerto dei primi collages
di Grosz: un mélange de dessins et de
coupures de catalogue[28].
La mia arte doveva essere la mia
arma, la mia spada,
ha scritto l’artista qualche anno più tardi[29].
In questo modo la dialettica tra impegno contenutistico e interesse formale
trova il suo naturale sbocco nella
satira. E nei fogli di Gott
mit uns, questa è accentuata dalla contradiction
entre la représentation satirique et l’apparente objectivité de la légende
accompagnant l’image[30].
Dada e Weimar
La
Repubblica di Weimar venne proclamata dai leader socialdemocratici Friedrich
Ebert e Philipp Scheidemann nel novembre 1918, in un paese esausto, mortalmente
stanco della guerra[31].
Nello stesso anno, Grosz aderì alla Komunistische
Partei Deutschlands, connessa alla Spartakusbund,
movimento rivoluzionario formato da un piccolo gruppo di marxisti guidati da
Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. L’infanzia passata a stretto contatto con la classe militare e con i
suoi costumi, gli aveva consentito di individuarne precocemente tutta la
doppiezza[32]. Inoltre, l’esperienza avuta al
manicomio militare nel 1917 e la haine
provoquée par la guerre, accesero in lui l’impulsion au dessin et à la peinture[33]:
In ogni occasione esprimevo il mio sconforto in
piccoli disegni. Tutto ciò che mi dispiaceva, tra quel che mi circondava, lo
riproducevo su di un taccuino o su fogli di carta da lettere. C’erano i volti
bestiali dei miei compagni, mutilati di guerra, ufficiali arroganti […]. Feci centinaia di schizzi che servirono
più tardi come base per disegni più grandi e litografie. Volevo ritrarre tutto
quel che di ridicolo e di grottesco mi capitava sotto gli occhi. […] Rappresentavo solo le brutture e le
storture che vedevo[34].
Tra
il 1918 e il 1919 scoppiava la rivoluzione, l’imperatore abdicava, le lotte
spartachiste venivano brutalmente soppresse e i Consigli operai fallivano[35].
Sullo sfondo di questo incandescente scenario veniva redatto il manifesto
dadaista berlinese, ancora privo di un intento politico ma inteso a rompere con
le preesistenti avanguardie, dal Cubismo al Futurismo, all’Espressionismo[36].
Dada, però, era nato a Zurigo, con gli artisti e gli intellettuali del Cabaret Voltaire, tipico locale
d’avanguardia. Fondato nella cittadina svizzera durante il 1916, quest’ultimo aveva elaborato nuove forme d’arte per
salvare il mondo da sé stesso e dal conflitto:
Le cabaret prend
une orientation très clairement politique et devient le lieu de rencontre de
tous les artistes modernistes étrangers attirés par Zurich pendant la guerre,
un lieu où les participants « non seulement jouissent de leur indépendance
mais en donnent la preuve ». Il satisfait aussi au désir de créer une
communauté d’exilés[37].
Interdisciplinarietà,
astrazione, primitivismo, cinismo, alienazione, aspetto ludico, sincretismo
culturale, attivismo: sono solamente alcuni dei principali fattori che hanno
caratterizzato il Dada zurighese e, per certi aspetti, il gruppo berlinese, di
cui oltre a Grosz, presente alla Rivoluzione
di Novembre, hanno fatto parte Raoul Hausmann, Hannah Höch, Wieland
Herzfelde, Richard Hülsenbeck, John Heartfield (anche lui iscritto al partito
comunista) e Otto Dix[38].
Tuttavia, rispetto al clima pacifista di Zurigo, il movimento dadaista a
Berlino si era tinto dei colori
dell’impegno e della rivolta contro il militarismo e il capitalismo
incarnato dalla Repubblica[39].
La
rivoluzione del 1918-19, infatti, non aveva prodotto grandi cambiamenti.
L'esercito, la burocrazia e la magistratura del vecchio regime si erano
trasfusi rapidamente nel neonato ordinamento politico. Dopo che Ebert, concluso
l’accordo con il generale Groener, aveva accettato l’aiuto dei militari per il
mantenimento dell’ordine, questi ultimi, rei di aver condotto la Germania al
conflitto mondiale, erano tornati al governo
più forti di prima[40].
Nei primi quattro anni di Weimar, il riemergere delle milizie al potere
pubblico, i frequenti assassini a sfondo sessuale e politico, l’impunità
concessa ai loro esecutori e l’inflazione causata dalla guerra, dalla carenza
di oro e dalla fuga di capitale, avevano alimentato le speranze della classe
monarchica e militarista, desiderosa di rivivere i fasti del passato. Ed
effettivamente, nel giro di pochi anni, l’alleanza tra conservatori e forze
armate non solo aveva riacquistato il suo carisma agli occhi del pubblico, ma
aveva contribuito ad addossare alla Repubblica il mito di un esercito
insuperabile, pugnalato alle spalle da ebrei e comunisti.
Si
è accennato come le città tedesche fossero controllate dai militari e dai loro randelli. L’incapacità gestionale dei pubblici
ufficiali è altresì ricordata dalle ironiche pagine dell’autobiografia di
Grosz, Un piccolo sì e un grande no,
in particolare nella descrizione della condotta oltremodo brutale di una guardia cittadina a passeggio per i
vicoli di Berlino: un giovane rosso in
volto, in uniforme blu, con elmetto, gambali, scarpe di cuoio […], ben curato e ben pasciuto[41]. Da qui
alle nostre litografie il passaggio è breve. Perché in Die Gesundbeter la pace è provocatoriamente consegnata nelle
mani di scheletri putrefatti reclutati da uomini corrotti. La morte genera morte. Non solo. Si è voluto
creare il mito di un esercito invitto e invincibile ma vile è la sostanza che
lo costituisce. Servendosi della stessa materia, Grosz ne mette in ridicolo la
prosopopea. E il disegno si fa aderente alla realtà disegnata. In Zuhälter des Todes, l’ordine delle desolate
strade cittadine è garantito dalla “vigile” presenza di ciechi, sordi e alticci
militari, ineluttabilmente estranei a ogni senso del dovere e, per questo,
definiti “sfruttatori della morte”[42]. La città è infestata da soldati effeminati,
da prostitute arricchite, da mutilati e da speculatori: il risultato del
conflitto, la nuova società di Weimar. I personaggi di Zuhälter des Todes difatti appartengono
alle diverse categorie di alienati generate dalla guerra mondiale. E in esse la frattura tra i
differenti livelli sociali appare volutamente evidenziata per esprimere des causalités de la société, ma anche
il discrepante tenore di vita della classe dominante e di quella proletaria[43].
Grosz disegna tipi, prototipi realmente esistiti nella
Germania dei primi anni Dieci del Novecento. Ne traccia il profilo come fosse
un giornalista, un fotografo attento a ogni singolo dettaglio utile alla sua
inchiesta. Intorno al 1925, peraltro, egli aveva dichiarato:
[…] cominciai a capire che c’era uno scopo
migliore del lavorare solo per sé e per i mercanti d’arte. Volli diventare un
illustratore, un giornalista[44] .
Al riguardo, si deve ricordare il contributo di Kurt Tucholsky, scritto a
seguito del processo intentato contro l’artista per la pubblicazione della
cartella:
[…] i disegni di Grosz mettono a nudo il
militarismo tedesco da Guglielmo fino al suo più grande successore, il
traditore dei lavoratori Noske. Sergenti maggiori, sottufficiali medici,
cassette del pronto soccorso dei maggiori medici, generali comandanti del vino
rosso, tenenti da bordello e ogni tipologia umana tremenda rappresentata dai
prigionieri del corpo dei volontari non sono mai stati raffigurati con tanta
accuratezza come in questi quadri […][45].
I comunisti assassinati alle spalle dei due signorotti seduti al tavolino
di Die Kommunisten fallen — und die
Devisen steigen sono
i dissenzienti al predominio della classe dirigente, i nuovi Rosa Luxemburg e
Karl Liebknecht, barbaramente massacrati nel 1919. Sono i socialisti accusati e
indebitamente condannati dai faziosi giudici del Reich, in gran parte
provenienti dalle classi privilegiate ed estremamente tolleranti verso quegli
ex-ufficiali protagonisti, durante la Repubblica, dei più efferati delitti[46].
Dunque, come Jolanda Nigro Covre ha evidenziato, le litografie di Grosz
esprimono una tipica Weltanschauung,
oltre che una vera e propria azione di
propaganda contro grassi industriali e profittatori di guerra[47].
Fuggendo da ogni intento meramente psicagogico, esse denunciano l’alleanza di
aristocratici e industriali, di capitalisti e militari; l’inflazione e il
mercato nero, la sfiducia nell’umanità moralmente degradata che ha condotto
alla guerra. Soprattutto, i fogli di Gott
mit uns rivelano l’alterigia dei fanatici militaristi e la loro immunità
giudiziaria nella proteiforme realtà della fragile Repubblica di Weimar[48].
Bibliografia
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catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, pp. 144-1014.
Dada,
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Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 118-181.
Dada,
l’arte della negazione, catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista,
Roma, Palazzo delle Esposizioni 1994, pp. 15-30; 39-88.
G.
Grosz, Il volto della classe dirigente,
introduzione di Giorgio Bocca, Milano, 1974, pp. 5-10.
G.
Grosz, Lo specchio del borghese,
introduzione di Enzo Bilardello, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 5-10.
G.
Grosz, Un piccolo sì e un grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi,
Milano, 1975, pp. 138-169.
G.
Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo,
in A. Negri, Carne e ferro. La pittura
tedesca intorno al 1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, pp. 229-231.
George Grosz. Berlino - New York,
catalogo della
mostra, Milano, 2007, pp. 13-104.
J.
Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento,
Roma, 1998, pp. 13-151.
Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris
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182-194.
P.
Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari 1978, pp.
29-234.
Sitografia
http://
www.moma.org/collection/
http://www.dada-companion.com/dada-messe/
[1]Dada-Messe è la negazione di tutti i
sistemi convenzionali dell'arte, una feroce critica alla casta militare,
borghese, burocrate protetta dalla Repubblica di Weimar: […] Tandis que le murs sont constellés de slogans –
« Nieder die Kunst » (À bas l'art), "Dilettantes, erhebt euch
gegen die Kunst" (dilettantes, révoltez-vous contre l'art). "Dada se
tient du côté du prolétariat révolutionnaire", "Dada est politique",
"À bas la morale bourgeoise", clament enfin les affiches à la manière
d'un programme idéologique. La Foire est de fait nihiliste, communiste,
anticléricale et antibourgeoise: S. Bernard, Dada–Messe foire, in DADA, catalogo della mostra, Parigi,
Centre Georges Pompidou, 2005, p. 322. Vedi
anche P. Gay, La cultura di Weimar,
(1968), trad. it., Dedalo, Bari 2002, pp. 29-56; 217-234.
[2]Avec Deutschland, ein Wintermärchen, représentation
satirique du jugement dernier, avec le portfolio Gott mit uns et le figure du « sous – officier allemand prussien à
tête de cochon », Grosz, Heartfield et Schlichter raillent la tradition
chrétienne et le militarisme du régime: S.
Bernard, Dada–Messe foire, in DADA, catalogo della mostra, Parigi,
Centre Georges Pompidou, 2005, p. 322.
[3] Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma,
1998, pp. 103-112; Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra,
Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 128;
130-132; Per il biennio 1919-20, vedi Dada,
l’arte della negazione, catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista,
Roma, Palazzo delle Esposizioni 1994, p.
87. Cfr. Matthew S. Witkovsky, Chronologie,
in DADA, catalogo della mostra,
Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, pp. 227-230; vedi anche S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra,
Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 444.
[4]G. Grosz, Un piccolo sì e un
grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975.
[5]La casa editrice Malik, fondata
nel 1917, diventò le principal éditeur de
littérature communiste. Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra,
Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 130.
[6] Cfr. S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005,
p. 444.
[7] G. Grosz, Un piccolo sì e un
grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, pp. 146-147.
[8] Come in una vignetta, le lettere
“K” e “V” sono collocate in un balloon
(fumetto).
[9] La critica dei dadaisti non è
tanto rivolta al progresso scientifico, quanto piuttosto all’impiego delle
scienze per annullare l’essere umano. Lo sviluppo tecnologico, infatti, aveva
prodotto le condizioni necessarie all’avvio del
conflitto mondiale.
[10] G. Grosz, Un piccolo sì e un
grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, pp. 139-141.
[11] Le signore indossano berretti
simili a quelli militari. Del resto anche le figure a passeggio sullo sfondo,
prive di una precisa connotazione sessuale, presentano lunghe vesti e cappelli
dello stesso tipo. Chiaramente, l’artista intende realizzare un collegamento
tra prostituzione, morte ed esercito.
[12] L’impiego del personaggio come
filtro tra lo spettatore e l’immagine urbana, presente anche nei quadri di
Meidner, sembra sia ispirato a Boccioni. Il rapporto città-figura nei tre artisti è ovviamente risolto in maniera
diversa. Non si può tralasciare tuttavia l’impatto che la pittura futurista
(incontrata a Parigi nel 1913 e a Berlino con Der Sturm) ebbe sulla formazione di Grosz. Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma,
1998, p. 74.
[13] G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura tedesca intorno al
1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, p. 229.
[14] G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione di Enzo Bilardello, Milano,
Rizzoli, 1976, p. 7.
[15] J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma,
1998, pp. 72-77; 141-142.
[16] Ė evidente, infatti, che
qualcosa stia cambiando. Le architetture, in Gott mit uns, tornano in piedi. Grosz aveva conosciuto Valori Plastici già prima degli anni
Venti. La rivista è diffusa in Germania dalla libreria di Hans Goltz di Monaco.
Nel numero di Der Ararat del gennaio
del 1920, inoltre, sono presenti due piccoli articoli sull'arte metafisica
italiana. Cfr. Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin, catalogo della mostra,
Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p.194.
Cfr. anche J. Nigro Covre, L'arte tedesca
nel Novecento, Roma, 1998, pp. 103;139-140; cfr. anche G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione di
Enzo Bilardello, Milano, Rizzoli, 1976, p. 9.
[17] J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma,
1998, pp. 143-145.
[18] A questo momento di passaggio
appartengono sicuramente opere come Giorno
grigio (1921). Prima del 1933, anno dell'espatrio negli Stati Uniti, Grosz
– attraverso Carrà e De Chirico – approda agli stilemi della Nuova Oggettività (1925). In questo
periodo sembrano convogliarsi le precedenti esperienze: dalla linea sinuosa di
Toulouse-Lautrec, alla messa in rilievo realistica del dato anatomico, fino
all’esasperazione caricaturale o, ancora, alla riduzione del tratto nello stile
fumettistico. Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma,
1998, pp. 141-142.
[19] Tra il 1912 e
il 1914 Ernst Ludwig Kirchner, fondatore della Brücke, realizzava un cospicuo
numero di scene di strada, ambientate nel centro della vita notturna berlinese.
I suoi soggetti urbani erano popolati da ammaliatrici e inquietanti cocottes. Con Grosz e i futuristi
italiani, presentati in Der Sturm nel
1913, Kirchner condivide in particolare l’apparente rapidità di esecuzione che
evidenzia un caotico movimento delle figure nelle diverse direzioni dello
spazio. Cfr. J. Nigro Covre, L'arte
tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp.13-151; G. Grosz, Il volto della classe dirigente,
introduzione di Giorgio Bocca, Milano, 1974, pp. 5-10; G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione
di Enzo Bilardello, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 5-10; Dada, in Paris-Berlin, catalogo della
mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992,
pp. 118-181.
[20] G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura tedesca intorno al
1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, pp. 229- 231.
[21]
En 1909, il
entre à l’académie royale des Beaux-Arts de Dresde. Il est diplômé le 30 mars
1911. Ses premières caricatures paraissent la même année dans Ulk, un
supplément du Berliner Tageblatt: S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005,
p. 444; Dada, l’arte della negazione,
catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista, Roma, Palazzo delle Esposizioni
1994, p. 350. Per Simplicissimus vedi
http://www.simplicissimus.info/.
Inoltre: fuori dell’accademia i suoi
idoli erano i caricaturisti di “Ulk” e del “Simplicissimus”: Bruno Paul, Julius
Klinger, Franz Christophe e Pretorius: G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione di Enzo Bilardello, Milano,
Rizzoli, 1976, p. 5.
[22] S. Kriebel, George Grosz, in DADA,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 444.
[23] G. Grosz, Il volto della classe dirigente, introduzione di G. Bocca, Milano,
1974, pp. 5-10. Per la contestazione di Grosz all’espressionismo della Novembergruppe, rivolta soprattutto al
comportamento apolitico del gruppo, consulta Dada, in Paris-Berlin, catalogo
della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard
1992, p. 136; J. Nigro Covre, L'arte
tedesca nel Novecento, Roma, 1998, p. 104.
[24] Le litografie hanno costi
contenuti e possono essere facilmente divulgabili. Esistevano due tirature, una
più costosa su carta giapponese, l’altra più economica e di facile
acquisizione. Cfr. “Gott mit uns”
in http:// www.moma.org/collection/. Vers 1920, suit la phase lutte de classes de l’œuvre de
Grosz qui très vite dans les années 20 le fait connaître par des reproductions
â bon marché et de nombreuses copiés dans des publications très répandues […]:
Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges
Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 186.
[25] Ivi, pp. 24-25;144; per l’ironia, la satira e l’estetica della
bruttezza nel dadaismo berlinese vedi Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris
Gallimard 1992, pp. 128;132-134.
[26] P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari, 2002, pp.
117-157.
[27] Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma,
1998, p.106.
[28] S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre
Georges Pompidou, 2005, p. 456. Si chiarisce, così, l’apporto della Scuola di
Arti Applicate di Berlino alla formazione dell’artista. Durante il periodo Dada
l’opera di Grosz, oltre alle caricature, alle pitture e ai collages, comprende anche la produzione di fotomontaggi
sbeffeggianti i pilastri della società di Weimar. Al pari della grafica, le sue
composizioni privilegiano il dettaglio scabroso, l’episodio grottesco. Esse
smascherano l’esistenza meschina di una piccola borghesia sorpresa nelle sue
attività illegali. Cfr. J. Nigro Covre, L'arte
tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 103-112.
[29] G. Grosz, Un piccolo sì e un
grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, p. 161.
[30] J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma,
1998, pp.141-142; Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra,
Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 132.
[31] Vedi P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it.,
Dedalo, Bari, 2002, pp. 217-234.
[32] En 1902, ils retournent à Stolp, où Marie
Gross devient gérante du casino des officiers dans le régiment de hussards du
prince Blücher. Ainsi Georg est en contact avec des militaires dès son enfance:
S. Kriebel, George Grosz, in DADA,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 444.
[33]Neue
Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris
Gallimard 1992, p. 186.
[34]G. Grosz, Un piccolo sì e un
grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, p. 159.
[35] Durante la Rivoluzione di Novembre (1918) si aveva combattuto per togliere il
potere dalle mani dei vertici militari, collettivizzare le industrie e dare
alla Germania una Costituzione che la trasformasse in una Repubblica guidata da
consigli popolari.
[36] Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma,
1998, p. 104.
[37] Lea Dickerman, Zurich, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005,
p. 990; Matthew S. Witkovsky, Chronologie,
in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges
Pompidou, 2005, p. 219.
[38] Cfr. S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005,
pp. 444– 457. Per il Dada a Berlino cfr. Dada,
in Paris-Berlin, catalogo della
mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992,
pp. 118-181.
[39] Dada, l’arte della negazione, catalogo della mostra a cura di
Giovanni Lista, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1994, p. 86. Vedi anche S. Bernard, Berlin club Dada, in DADA, catalogo della mostra, Parigi,
Centre Georges Pompidou, 2005, pp.144-148: en
1909, à Berlin, Hausmann précise également les principes idéologiques du Club:
« le club Dada représentait dans la guerre l’Internationale du monde, il
est un mouvement International et anti-bourgeois […]. Le club Dada, c’est la
fronde contre le travailleur intellectuel ».
[40] P.
Gay, La cultura di Weimar (1968),
trad. it., Dedalo, Bari, 2002, pp. 43; 217-234; Dada, in Paris-Berlin,
catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris
Gallimard 1992, pp. 130-131: Weimar n’est
que mensonge, le déguisement de la barbarie teutonique – déclarait Raoul
Hausmann. C’est l’ « esprit de Weimar » que les dadaïstes de Berlin
attaquaient sans ménagement.
[41] G. Grosz, Un piccolo sì e un
grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, p. 169.
[42] Letteralmente, pimp significa protettore, mezzano. In
questo caso, l’arguta critica dell’artista è principalmente rivolta allo
sfruttamento della difficile situazione economica, politica e sociale della
Germania, da parte di militari e di capitalisti nel dopoguerra.
[43] Contro la follia della guerra,
un’altra follia: così il dadaismo spesso contesta il sistema alle origini del
conflitto mondiale. Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité,
in
Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou
1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 186: […] Dans ces images dialectiques il n’exprime pas des problèmes artistiques
individuels, il illustre au contraire des vues marxistes.
[44] G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura tedesca intorno al
1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, p. 230.
[45] George Grosz. Berlino-New York, catalogo della mostra, Milano,
2007, p. 103.
[46] Giornali come Tagebuch e Weltbuhne denunciarono e combatterono gli assassini con le stesse
armi di George Grosz: l’ironia e il sarcasmo. P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari, 2002, pp.
29-56.
[47] In quest’ottica, le litografie
trovano un confronto con i dipinti di operai, con i ritratti di mezzani e di
prostitute di Otto Dix. Vedi J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, p. 164.
[48] Anche in opere quali Trafficante di brillanti e Il colpevole resta anonimo, Grosz
smaschera le speculazioni moralmente illecite della ricca borghesia tedesca
sullo sfondo del disagio economico vissuto dal proletariato dopo la guerra. Paris-Berlin, catalogo della mostra,
Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp.
130-134;186-87.
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