La basilica dei Santi Cosma e Damiano, dedicata
da papa Felice IV (526-530) ai due fratelli greci, dottori, martiri e santi, è
situata nel Foro di Vespasiano, conosciuto anche come Foro della Pace. La parte
più antica del complesso, che un tempo costituiva il recinto del Tempio dei
Penati, è composta dai muri di tufo delle pareti laterali dell’edificio,
risalenti all’epoca di Augusto. Fra il I e il II secolo, le
mura di travertino e tufo furono sviluppate per realizzare lo spazio
dell’odierna navata. La muratura fu quindi completata sotto Diocleziano con la
realizzazione del tetto.
Il mosaico absidale comprende il Cristo
e i principi degli apostoli Pietro e Paolo che introducono i due santi titolari
Cosma e Damiano, connotati dalla corona del martirio, simbolo della loro
vittoria sulla morte. Alle due estremità si vedono Felice IV, frutto di un
restauro seicentesco, che sorregge il modellino della basilica, e s. Teodoro. I
personaggi sono calati entro un contesto paradisiaco e in una trama di motivi
apocalittici. In basso alla composizione corre una fascia abitata dall’Agnus Dei in prossimità del Mons paradisiaco, presso il quale
figurano i quattro fiumi del Paradiso - il Fison, il Gehon, il Tigri e
l'Eufrate – e verso il quale converge una teoria di agnelli.
È qui rappresentata la Teofania del Cristo - dal greco theophàneia, composto da theos ("dio") e da phàinein ("manifestarsi") –, resa attraverso
un avvento trionfale, l’adventus
imperiale. La scelta del soggetto
iconografico è strettamente legata alla natura di “santuario urbano”
dell’edificio, che fa parte di una categoria distinta dalle basiliche
parrocchiali e “ad corpus”, per le quali esiste una precisa tradizione
iconografica, che predilige il ritratto del santo titolare. La decorazione dei
Santi Cosma e Damiano si presenta, in questo senso, come una sorta di “ibrido”,
di sintagma iconografico, poiché concilia il tema teofanico con la prassi di
ritrarre il santo eponimo. Nel caso della chiesa del Foro si sceglie una
nuova soluzione, che farà da modello alle successive composizioni absidali, e
che è improntata, di fatto, su temi iconografici già esistenti. Il mosaico riprende
dalle aule cultuali lo schema a sette elementi, con il papa committente e santi
(in questo caso Teodoro) il cui culto è connesso con l’edificio; dalla pittura
catacombale romana è tratta l’iconografia di Pietro e Paolo che introducono il
santo titolare mediante il gesto del “patrocinio”; all’antica composizione
dell’arco di S. Pietro in Vaticano, che raffigurava Costantino con il
modellino, è ispirata l’iconografia del pontefice che offre il modello della
basilica al Cristo. L’ “admissio” dei santi in un luogo ultraterreno e “apocalittico”
– suggerito dal cielo, dalle nubi, dall’empireo e dalla fenice – ricalca invece
le prime composizioni musive romane della Traditio
Legis (catacombe, S. Costanza).
La
decorazione musiva è considerata l’ultima manifestazione di un’arte monumentale
veramente romana. Si nota tuttavia un certo contrasto fra il vigore plastico del
gruppo centrale e il carattere ieratico della figura di san Teodoro sulla destra,
e fra la tendenza naturalistica del paesaggio e l’eccessiva schematizzazione
della composizione piramidale. Proprio questa sintesi “equilibrata”
tra l’elemento organico-realistico e quello astratto-bidimensionale rappresenta
la chiave di volta del mosaico.
Principali fonti
bibliografiche:
M. Andaloro, S. Romano, L’immagine
nell’abside, in Arte e iconografia a Roma. Da Costantino a Cola di
Rienzo, Jaca Book, Milano 2000;
F. Gandolfo, Il ritratto di
committenza, in Andaloro, Romano, 2000, pp. 175-192;
G. Matthiae, Pittura romana del Medioevo. Secoli IV-X. Aggiornamento scientifico
e bibliografia di M. Andaloro, I, Roma 1987.
Nessun commento:
Posta un commento